Giovedì 29 ottobre 2015, ore 20,30, presso il cinema Nuovo Eden (via Nino Bixio n.9, Brescia) si è tenuta in anteprima per Brescia la proiezione del film
I PONTI DI SARAJEVO
un film di Ursula Meier, Aida Begic, Leonardo Di Costanzo, Jean-Luc Godard, Kamen Kalev, Isild le Besco, Sergei Loznitsa, Vincenzo Marra, Vladimir Perisic, Cristi Puiu, Marc Recha, Angela Schanelec, Teresa Villaverde. Tredici tra i più importanti registi europei raccontano la capitale bosniaca, città simbolo del ‘900 e di speranza per il XXI secolo. Ingresso libero. Ha introdotto SERGIO PAINI, vice-caporedattore Esteri della Rai e autore dello speciale Tg Sarajevo, guerra e pace. L’iniziativa è stata promossa dalla Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura e da ADL a Zavidovici Onlus con il patrocinio del Comune di Brescia.
Al termine l’Associazione “Ambasciata della Democrazia Locale a Zavidovici” Onlus ha raccolto fondi per il progetto SIGURNO MJESTO (Luogo Sicuro), un’associazione di donne bosniache che oggi realizza varie attività finalizzate al sostegno e al benessere delle donne.
Il 28 giugno 1914, l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono dell’impero austro-ungarico, fu assassinato a Sarajevo. Il suo omicidio è considerato la causa scatenante della Prima Guerra Mondiale che precipitò l’Europa nel caos e nel sangue. Cento anni dopo il colpo di pistola sparato dall’anarchico Gavrilo Princip, che cosa rappresenta Sarajevo dentro la storia contemporanea e dentro la memoria collettiva europea? Alla domanda prova a rispondere il progetto artistico di Jean-Michel Frodon, giornalista, critico e storico del cinema, che recluta tredici registi e intende altrettante riflessioni su Sarajevo, cuore e cornice di tragici eventi storici.
Les ponts de Sarajevo è una risposta caleidoscopica che ragiona su questa città circondata dalle montagne e attraversata dalla Miljacka, su cui si alzano i ponti del titolo e il Ponte Latino, dove l’arciduca fu ucciso. Uno sguardo polifonico su Sarajevo, dalla prima guerra mondiale ai nostri giorni, passando per il suo assedio, episodio centrale della guerra civile in Jugoslavia, che durò quattro anni (1992-96). Se Sarajevo è l’orizzonte comune alle opere, ciascun’opera esprime la singolarità del proprio autore e della cultura di provenienza. Come capita spesso in progetti di natura eterogenea, la qualità dei film appare inevitabilmente incoerente e discontinua, presentando in successione episodi alti e altri ordinari. Presentato fuori concorso a Cannes e alla ventesima edizione del Festival del Film di Sarajevo, Les ponts de Sarajevo privilegia l’approccio documentaristico ma apre con la ricostruzione metaforica dell’assassinio di Francesco Ferdinando di Kamen Kalev (Ma chère nuit) e prosegue con L’avamposto dell’autore italiano Leonardo Di Costanzo, che sceglie (anche lui) la finzione e omaggia il cinema ‘in trincea’ di Francesco Rosi.
L’episodio di Di Costanzo, in cui un gruppo di soldati italiani assediati dal fuoco austriaco è mandato allo scoperto e a morte sicura in nome della logica militare, denuncia la follia della guerra ma soprattutto allude alle fucilazioni esemplari e alla giustizia marziale, probabilmente la più iniqua tra le giustizie. La disfatta di Caporetto di fatto non fu solo l’esito inevitabile della supremazia del nemico ma ebbe come concausa l’insipienza dei comandi operativi italiani che punirono l’insubordinazione con un ‘esempio salutare’, uno stillicidio raccapricciante di soldati fucilati persino in trincea. E ‘al muro’ condannavano ugualmente i civili, i cecchini ‘fotografati’ da Sergei Loznitsa (Réflexions). Ritagliati dalle immagini in movimento di una Sarajevo di nuovo attiva e vitale, i cecchini riemergono come fantasmi dal sottosuolo e dentro un film bianco e nero, muto e sonoro, estetico e militante. Più avanti c’è l’Album di Aïda Begić, unica regista della Bosnia-Erzegovina a partecipare al progetto collettivo, che evoca un secolo di Sarajevo attraverso le immagini della città così come appare oggi. C’è ancora il racconto esilarante di Cristi Puiu (Réveillon) che dentro un piano sequenza, avviato su un albero di Natale e diretto verso la camera da letto di due vecchi coniugi, sfoglia il libro di Hermann von Keyserling (Das Spektrum Europas), in cui marito e moglie trovano ragioni sufficienti a sfamare il proprio appetito xenofobo. Proseguendo c’è la parabola sull’amore e sulla morte, sul silenzio e la parola di Ursula Meier (Silence Mujo), che comincia su un campo di calcio e si spinge nel cimitero, dove il pallone è rimbalzato.
Prima di Vincenzo Marra e il suo episodio sull’impossibilità del ritorno (Il Ponte), c’è soprattutto Le Pont des Soupirs, collage-poème di Jean-Luc Godard. Ancora una volta l’autore francese realizza un frammento potente di cinema la cui forza risiede nella sua precarietà materiale e nella sua ricchezza intellettuale. Una preghiera resistente contro la barbarie e la regola che prosegue l’esplorazione fotografica di Je vous salue, Sarajevo, composto nel 1993 intorno alla fotografia di Ron Haviv e alla realtà che non smette di accadere. Tredici film infine raccolti a farne uno solo e separati dall’animazione di François Schuiten, che disegna mani che si cercano al di sopra di un fiume, allacciandosi e formando un ponte che brucia e risorge di nuovo. Un ponte per andare verso l’altro, per ‘ricostruire’ Sarajevo e costruire l’Europa.