Giornale di Brescia, 16 aprile 2021
Viviamo un tempo che tende spesso a pensare la verità come un concetto dogmatico che implica l’intolleranza e la violenza e che proprio per questo va tralasciato oppure come un processo continuo di costruzione razionale sottoposto all’esclusivo controllo umano. Ma ci si può anche chiedere se in ciò non risieda una tendenziale mistificazione di tale concetto che – come insegna tanta filosofia novecentesca attenta in particolare alle tematiche ontologico-esistenziali – non fa riferimento ad alcun ente intramondano di cui gli esseri umani possano disporre ma indica non solo la corrispondenza del pensiero e della cosa bensì più radicalmente l’origine trascendente e la sorgente inoggettivabile di ogni finito stare al mondo.
Il nostro rapporto con la verità quindi, proprio per il suo non darsi in evidenza, non è mai immediato, ma si svolge sempre nella libera interpretazione delle esperienze che la manifestano. Tra queste paiono essere essenziali le esperienze del bene e della bellezza senza le quali la verità sembra “irrimediabilmente perduta”. Mentre però l’esperienza morale sottende nel bene il rapporto con una verità che “deve essere ancora realizzata” e che proprio per questo dischiude l’apertura (religiosa) alla sua affermazione futura, l’esperienza estetica implica nel bello (considerato non come pura evasione ma nella sua valenza rivelativa) una “configurazione presente della verità” che ne testimonia la realtà concreta.
In riferimento a tutto ciò pare dunque abbia ancora senso tornare a riflettere sulle nozioni di verità, bene e bellezza, ovvero su tre concetti che il pensiero nella sua storia ha considerato come istanze fondamentali del nostro rapporto con la realtà, fin dai tempi di Platone (ad avviso del quale il bello è il tralucere dell’intelligibile nel sensibile) e dei pensatori medievali (che concepivano questi tre concetti come “trascendentali” dell’essere) per poi arrivare al mondo moderno (che li considera con un riferimento particolare al soggetto: si vedano in proposito le tre Critiche di Kant per il quale, tra l’altro, il bello è avvio al bene morale) e a quello contemporaneo (che, come si diceva, li ripensa anche in relazione alla alterità dell’essere). Per Florenskij tali concetti rappresentano una “triade metafisica” costituente un “unico principio” e “un’unica vita spirituale esaminata sotto vari punti di vista”. Questo unico e insieme triplice principio – connesso con il nostro pensare, agire e sentire – non può che continuare ad interrogarci anche oggi.