Città e Dintorni, 1 settembre 2009, n. 98/2009
Fulvio è stato uno dei grandi amici degli anni giovanili, di quel periodo della vita in cui l’animo si apre volentieri all’altro e si getta con entusiasmo nelle avventure più belle.
L’esperienza della nascita e del consolidamento della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura ha significato per noi molte cose: l’approfondimento delle ragioni dell’impegno culturale, religioso e politico, lo scambio di letture, le gite in comune, la confidenza scherzosa, la disponibilità a operare concretamente, a sporcarsi le mani.
Tutto questo ha creato un rapporto di intimità reale che non è mai venuto meno. Bastava uno sguardo per capire come la pensava su molti argomenti e sui temi di fondo vi era un’immediata sintonia.
Questi brevi appunti non hanno la pretesa di ricostruire il percorso professionale di Fulvio, ma attingono a rapporti personali filtrati, ma non distorti, dalla luce dell’affetto.
Se mi venisse chiesto di indicare la cifra della personalità di Fulvio in una parola, questa sarebbe l’impegno; con un termine di moda negli anni Settanta si potrebbe dire che era una persona engagée.
Nel nostro gruppo di giovani universitari Fulvio era quello che si rapportava verso la vita con più serietà: per non pesare sulla famiglia accettava supplenze anche in posti disagiati, ogni anno andava in Alto Adige a raccogliere le mele, fu il primo a trovare un lavoro e persino nei viaggi non voleva perdere tempo e cercava di visitare tutto quanto fosse possibile. La sua passione per la montagna, da questo punto di vista, ben si raccordava con la sua personalità: lo sforzo per salire sulla vetta, per raggiungere l’obiettivo, ma anche la gioia per la bellezza del panorama.
Nonostante si fosse laureato in economia con una tesi su una cooperativa di lavoro, Fulvio fin da giovanissimo ebbe un particolare interesse verso i temi dell’informazione, della comunicazione.
Nella parte della vetrina che dava su corso Magenta, negli anni in cui rimase aperta la libreria della Ccdc, realizzava e affiggeva manifesti su temi di cronaca che meritavano, a suo parere, un approfondimento critico. Ricordo che Mario Faini, cultore di storia politica locale, mi disse – sicuramente esagerando – che era l’unica controinformazione efficace in un periodo (fine anni settanta) contrassegnato dalla paura e dal conformismo.
È quindi ovvio che quando don Mario Pasini chiese a mio padre, presidente della Cooperativa, il nome di un giovane sveglio per iniziare una collaborazione con la rivista Madre, la scelta cadesse su Fulvio.
Don Mario, da giornalista esperto qual era, capì subito che Fulvio aveva una volontà e una passione non comuni, e lo mise subito alla prova. Gli affidò una rubrica mensile, intitolata “Qui giovani”, che Fulvio curò dal 1979 al 1981 coinvolgendoci tutti nella predisposizione di articoli, interviste, inchieste, persino nel corredo fotografico.
Quello che mi colpisce ancora oggi, tornando col pensiero a quella vicenda, è la fiducia che don Pasini aveva concesso a Fulvio poco più che ventenne. In piena libertà ci incontravamo a stendere la scaletta degli interventi, si predisponevano i testi e tutto veniva pubblicato senza correzioni o tagli.
Fulvio ha quindi iniziato la sua carriera avendo vicino persone che hanno saputo valorizzarlo, dandogli una notevole autonomia. E questa autonomia l’ha difesa coi denti in tutta la sua vita professionale, a volte persino al di là della sua convenienza.
Quando, dopo diverse vicende societarie, Teletutto venne acquisita dall’Editoriale Bresciana, Fulvio – che vi lavorava sin dal suo esordio – diventò direttore dell’emittente in forza di una professionalità che nasceva da anni di impegno serio ed appassionato. Era semplicemente il migliore sulla piazza nell’usare il mezzo televisivo e, nel difficile momento del passaggio della proprietà, la sua competenza ebbe la meglio su ogni altra considerazione.
Tutti hanno riconosciuto la capacità di Fulvio nel dialogare con le persone, nel raccontare storie di umanità e solidarietà. Penso che questa predilezione nascesse dalla sua convinzione che ogni cosa bella e buona, da chiunque provenga, migliora realmente il clima della comunità più dei proclami astratti o degli appelli della politica. Pur riconoscendone l’importanza e l’indispensabilità, infatti, Fulvio non assegnava alla politica un valore salvifico, e quindi ne accettava i riti con un interiore distacco.
Chiudo con due ricordi personali.
Molti avranno in mente le interminabili dirette da Palazzo Loggia durante le elezioni, in cui dimostrava di essere un giornalista di razza, capace di dare voce a tutte le opinioni.
Fulvio terminava questi servizi letteralmente spossato, spremuto come un limone, e tradizionalmente veniva a trovarci con Lucia, magari in bicicletta.
Allora sfogava tutta la sua amarezza per le accuse incrociate che riceveva, a volte al limite dell’insulto, per aver favorito ora l’una ora l’altra forza politica avendo lasciato qualche secondo (sic!) in più di spazio televisivo nella campagna elettorale.
Mi era facile dimostrargli che se le rimostranze arrivavano contemporaneamente dalla destra, dal centro e dalla sinistra, queste non erano altro che la prova della sua correttezza.
Infine, una sera ero a cena a casa sua, quando un cameramen gli telefonò verso le 21,30 per dargli una notizia dell’ultima ora di una certa rilevanza. Interruppe la cena e mi chiese la cortesia di accompagnarlo di corsa a Teletutto, in modo da darla al telegiornale delle 22 e inserirla nel televideo.
Di fronte alla mia obiezione che nessuno se ne sarebbe accorto, mi rispose che non poteva agire diversamente perché il suo dovere era arrivare per primo sulla notizia.
Questa sua grande professionalità, che non sempre gli è stata riconosciuta in vita, è apparsa chiara a tutta la comunità bresciana con la sua prematura scomparsa.