Nel 1945, all’indomani della tragedia che aveva sconvolto il mondo, nella Germania si levarono le voci che la dittatura hitleriana aveva costretto al silenzio e tra esse, autorevolissime, quelle di Karl Jaspers, il filosofo dell’appello all’esistenza autentica, di Karl Barth, l’apologeta della trascendenza divina, di Martin Buber, il testimone del messaggio giudaico nel nostro tempo, e del cattolico Romano Guardini.
Il Guardini – d’origine italiana, ma tedesco per formazione, per stile e per la vigoria dell’inquieta ricerca – è tra i maestri della cultura europea del nostro tempo il meno accademico, un pensatore non sistematico, ma è altresì uno degli spiriti più vasti e più profondi.
Di questo grande pensatore dell’esistenza cristiana, in cui l’Europa vede uno dei rappresentanti eminenti com’è dimostrato anche dal conferimento del premio «Erasmo», abbiamo ora finalmente un profili ed una ispirata interpretazione nel saggio di H. Kuhn, Romano Guardini l’uomo e l’opera, (Ed. Morcelliana, Brescia, 1963), da cui emergono con notevole forza le componenti del pensiero del Nostro, di cui si delinea altresì la vita r la personalità.
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Venuto ancor fanciullo in Germania con il trasferimento della famiglia, Guardini adolescente, pur senza mai venir meno al suo amore per il Paese che gli diede i natali (conosce molto bene la nostra lingua ed è un cultore di Dante), fece sua la nuova patria nordica. L’incertezza nella scelta della professione, l’insoddisfazione per i corsi di scienze naturali prima e di economia poi testimoniano in lui la presenza di una necessità più profonda; il travaglio approda alla consacrazione a sacerdote nel 1910 e nella abilitazione all’insegnamento della teologia con una tesi su San Bonaventura. Nella storia della Chiesa tedesca non era quella un’epoca felice; dopo l’enciclica Pascendi contro il modernismo la temperatura era scesa quasi a zero, e sembrava fossero scomparse le scintille di un possibile nuovo ardore. Il Guardini non trovò nelle Università tedesche maestri in grado di alimentare le sue aspirazioni, e si volse a Socrate, a Sant’Agostino, a Dante, a Pascal, a Newman, così come interrogò alcuni dei profeti dell’epoca moderna (Hoelderlin, Rilke, Dostoevskij, Nietzsche) per una riaffermazione della verità liberatrice del Cristianesimo di cui il nostro tempo tormentato e problematico ha il più urgente bisogno.
Il pensiero del Guardini maturò nel ventennio fra le due guerre, non nell’atmosfera rarefatta delle acrobazie pseudodialettiche, ma in intima connessione con l’attività di effettiva guida morale e religiosa del movimento giovanile tedesco e, dal 1923, di insegnante a Berlino, ove il Nostro tenne una cattedra istituita in via sperimentale e divenuta poi un’istituzione universalmente riconosciuta, la cattedra di «Filosofia della religione e Weltanschauung cattolica». Il professore universitario, lo scrittore religioso, il filosofo, l’educatore dei giovani si fusero in perfetta armonia nella personalità del Guardini, il quale appartiene alla sparuta schiera di coloro che hanno sapito indicare al mondo, e soprattutto ai tedeschi, quelle verità fondamentali che sole rendono umana la vita e degna di essere vissuta.
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Sullo stile di Guardini professore e scrittore la testimonianza di Helmut Kuhn ci fa ricordare quella resa da Padre Gemelli, nella presentazione del capolavoro del Nostro, Der Herr (Il Signore, Ed. Vita e Pensiero, Milano), sul docente di Weltanschauung cattolica a Berlino «Anni or sono – scrive il Gemelli – e, se il ricordo non si è deformato, nell’inverno del 1924, un mattino, insieme con un amico e collega universitario, avevo compiuto inutilmente un’esperienza scientifica alla Charité, il complesso delle grandi cliniche delle quali si gloriava l’Università di Berlino. Disilluso stavo svestendo il camice e lavandomi le mani, quando il collega (un protestante che si interessava molto di problemi filosofici e religiosi intorno ai quali discutevamo talvolta anche interrompendo il nostro lavoro mi disse: “Senti, manca un quarto d’ora; facciamo in tempo ad andare ad ascoltare Romano Guardini”. Fu così che appresi che un sacerdote era stato nominato professore nella Università berlinese e vi attirava con le sue lezioni grande folla di ascoltatori… Mi trovai in un’aula affollatissima, nella quale notai che tra gli uditori di Romano Guardini erano numerosi coloro che, come me e come il mio collega ed amico, non erano regolarmente iscritti. Aveva Guardini un modo di esporre, come di uomo che ragiona con se stesso e con i suoi uditori; era privo del tono cattedratico proprio dei professori tedeschi; non usava alcuna enfasi; egli si teneva anche lontano dalle astrazioni care ad altri pur insigni maestri tedeschi e non solo docenti di filosofia. All’uscita dell’università, dopo la lezione, verso Dorotheenstrasse, si raccoglievano sotto gli ombrosi alberi numerosi gruppi di uditori a discutere animatamente. Entrati noi due in un caffè vi trovammo gruppi di uditori che vi erano giunti prima di noi e potemmo udire le loro accese discussioni. Guardini portava i suoi uditori a vivere in un mondo di pensieri superiore all’esperienza comune in cui non erano soliti ad essere condotti e li abituava ad un modo di ragionare che piaceva molto, specie ai più giovani, privi di pregiudizi di scuola. Di qui il vivo interesse che gli destava».
Si tratta in fondo del vecchio metodo di protreptica filosofica di derivazione platonica divenuto con Sant’Agostino via della ascesa dialettica e religiosa. Si capisce allora perché il «professore» Guardini parla e scrive come qualcuno oppresso dalla più amabile e spiritualmente più fruttuosa delle umane debolezze, la timidezza, e perché la sua parola risalta per la calma assenza della controversia e per la sua visione dell’ortodossia che è cattolica in quanto universale, inclusiva cioè e non esclusiva, capace di penetrare fino in fondo l’umano proprio perché idonea ad integrarlo nel compimento cristiano.
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Non è facile fissare le direttrici di un pensiero come quello del Guardini, pensiero come quello del Guardini, pensiero complesso e ricco di sfumature estremamente significanti, in cui le chiarificazioni fondamentali vengono offerte in rapporto a situazioni concrete (la libertà, la coscienza, l’angoscia, il potere, l’autorità ecc.) e a concrete personalità e spesso in un contesto più religioso e teologico che filosofico.
Il Kuhn ha tentato una sintesi della vasta tematica del Guardini, ed il suo saggio è utile ed opportuno, proprio perché ha principalmente il merito di non essere conclusivo, ma di invitare, di introdurre alla lettura diretta delle opere del pensatore (quasi tutte tradotte in italiano dall’editrice Morcelliana, che si è pure assicurata la pubblicazione della Opera Omnia).
Per il Guardini la risposta dell’epoca moderna al problema dell’esistenza non può essere semplicemente messa in disparte, come se fosse assolutamente priva d’importanza per noi e per la nostra decisione. Questa risposta proviene dal tempo nel suo complesso e non dipende perciò da singoli fattori. Essa rispecchia un atteggiamento generale, sotto la cui influenza il singolo nasce e verrà a trovarsi poi in conflitto. In qualche modo, come preesistente forma della sensibilità e patrimonio comune ormai accettato, tale atteggiamento influisce sulla coscienza di ogni singolo, anche nel caso in cui quest’ultimo dovesse opporvisi.
«V’è una verità – dice Guardini – nella risposta dell’epoca moderna al problema dell’esistenza, questa verità mostra di essere dalla parte della ragione nei confronti della visione medioevale del mondo». Infatti, nonostante tutta l’ammirazione per la sua grandezza, la sua unità e interiorità, non dobbiamo dimenticare infatti che la visione medievale «provocava continuamente una sorte di corto circuito religioso»: l’Assoluto era sentito in modo così forte da far sì che il finito non potesse giungere ad affermare adeguatamente il proprio significato e la propria importanza. Ora, nell’epoca moderna, viene viceversa assegnato il posto di onore al secondo, finora trascurato. Era forse necessaria un’appassionata dedizione al mondo, con tutti gli errori che essa comporta, per portare a termine quest’opera di conoscenza, di affermazione, testimone di una nuova lealtà e giustizia nei confronti del reale. Ciò non significa, tuttavia, che la nuova epoca possa in tal modo essere giustificata come «migliore» rispetto alla precedente. D’altra parte è indubbio che la sua azione era «a tempo», e perciò «buona» e che in tal senso segnava un progresso. E se ci soffermiamo sul significato inespresso di questo «a tempo», giungiamo forse alla singolare constatazione che la storia consiste nella scoperta di nuovi aspetti della verità riguardo all’esistenza, ma che tale scoperta è destinata, a sua volta, ad oscurare altri aspetti precedentemente portati alla luce. E ciò accade anche nei confronti di Dio. Certo Dio non cessa di esistere, anche quando gli uomini lo dimenticano; ma è pur vero che diversi aspetti della medesima realtà di Dio appaiono di volta in volta con evidenza particolare in diverse epoche.
Nella lotta contro la presente tacita negazione di Dio, Romano Guardini ha dedicato la propria vita al compito di rendere possibile nella nostra epoca un’esistenza cristiana, determinandone il significato ed i valori e rinnovandone le forme sacrali. Egli ci ha insegnato, inoltre, che questa lotta non può essere condotta con le sole armi della controversia teologica, e non più nello stile della vecchia apologetica. Quando, infatti, in luogo dell’attacco subentra l’indifferenza, un’opposizione diretta non ha più un significato. La battaglia deve essere combattuta ora sul terreno dell’avversario. Si deve dimostrare che il mondo, con la sua pretesa assoluta, contraddice se stesso; che esso non può volere il regno dell’uomo, senza oltrepassare allo stesso tempo i limiti stessi di tale regno; che esso, ignorando l’ultima, non può rimanere sempre attaccato alla penultima realtà, per così dire, senza perdere anche quella. Poiché il compito di realizzare un’esistenza cristiana non è affidato all’uomo in genere ma a noi, figli dell’epoca moderna, la risposta all’appello proveniente da una remota antichità, attraverso i secoli, deve dunque scaturire dalla profondità dell’esistenza storica dell’uomo moderno.
Nella tragica contrapposizione così come nel faticoso aprirsi del tempo presente alle universali esigenze della coscienza cristiana è il senso del nostro dramma e delle nostre speranze. Di questo dramma e di queste speranze il Guardini, pensatore dell’esistenza cristiana, è finissimo interprete e per questo il suo pensiero non è res gesta, ma fermento vivo ed attuale che si fa strada nel futuro.
Humanitas, novembre 1963.