Giornale di Brescia, 20 settembre 2009
Successo per l’allestimento al Chiostro con Bertoli. Padre Ronchi: «La poesia è vita e speranza»
«Eravamo in 276 sulla nave naufragata a Malta. Gli isolani ci hanno accolto con umanità». Non è cronaca dei giorni nostri rivista in meglio, ma una delle tante disavventure di San Paolo, nella sua inesausta predicazione del Vangelo, fino al martirio a Roma. Mettiamo che il santo scriva lettere agli uomini di oggi. Dai suoi viaggi si direbbe che sia un tipo attuale.
A dar vita all’idea ci ha pensato padre Ermes Ronchi, dell’ordine dei Servi di Maria, insegnante di Estetica teologica al «Marianum» di Roma, commentatore del Vangelo su Avvenire e autore di svariati libri. È nato il testo teatrale «La mia lettera siete voi. Paolo scrive ai credenti di oggi», al debutto un anno fa a Roma, per il bimillenario della nascita dell’Apostolo delle genti.
A distanza di un anno la cosa si è ripetuta con evidente successo giovedì sera al Chiostro di S. Giovanni, grazie alla Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura e al Centro culturale Il Chiostro. E a Luciano Bertoli, regista e attore in scena.
Noi eravamo in 400. Non siamo per fortuna naufragati, ma qualche pigra convinzione si è scossa. Il denaro ha sempre la meglio sull’amore? «È la legge dell’economia. Così va il mondo», si dice. «Violenza! Ingiustizia!», urla invece indignato Bertoli-Paolo, con le parole di Padre Ronchi, attento studioso del santo. Ormai prigioniero a Roma, abbandonato da tutti, tranne che da Luca, Paolo torna col pensiero ai suoi viaggi. O meglio, è Luca a farlo per lui. Un fuoco che brucia e la torba scura rievocano il carcere, la musica (Domenico Clapasson) ricorda suoni antichi, il mare, il gocciolare umido della prigione, insieme agli echi delle campane tibetane, dal vivo.
Bertoli si muove a suo agio, i piedi nudi nella terra. Incarna con schietta semplicità sia il racconto realistico che la più alta poesia, premiato da uno scroscìo di applausi finali. Divisi con l’autore, che ha accettato di rispondere ad alcune domande, come una sull’urgenza di scrivere questo testo. «Paolo – risponde l’autore – ha trasportato nella cultura greco-latina il messaggio di origine giudaica, poi ha fatto una quarta cultura, che è quella del Cristianesimo. Se riuscissimo anche noi a portare il messaggio cristiano nel mondo di oggi? E a mettere insieme le culture?». Padre Ronchi è un religioso e anche scrittore. Dice: «A volte dobbiamo vestire di bellezza la verità, perché pulpito e cattedra non bastano, ci vuole il cuore». Accade in questo spettacolo. Ma gli artisti li ascolta qualcuno? «La Bibbia è quasi tutta in poesia. Insegno estetica teologica. Cos’è il contrario di estetico? Anestetico, ciò che toglie reattività, vita. Estetico vuol dire “sensibilità”. Io cerco il Dio sensibile al cuore. Lo dice Pascal».
Anche Padre Ronchi è un viaggiatore come San Paolo: nato vicino ad Udine, insegna a Roma, vive a Milano, ha studiato anche a Parigi, tiene lezioni dappertutto… «San Paolo – spiega – viaggiava rischiando la pelle. Anch’io viaggio: il nostro ordine è itinerante, vai dove ti è chiesto. Più ti muovi meno bagagli hai, sei libero. San Paolo aveva un mantello e le pergamene della parola di Dio». Nel testo dello spettacolo si parla di cristiani che «si vergognano di Cristo», schiavi del denaro. Come uscirne? «Accarezzando il mondo contropelo, diceva Sciascia, controcorrente. L’economia senza etica è disastrosa. Tutto è giudicato dal denaro: qualità della vita, progresso, politica… Beati i puri, i costruttori di pace. Costa fatica. Don Milani diceva: finché c’è fatica, c’è speranza».