Il movimento ecumenico è tra le iniziative più importanti del nostro secolo e, a partire dal Vaticano II, ha assunto una estensione e una intensità che nessuno avrebbe osato prevedere. L’ideale dell’unità di tutti i cristiani ha conquistato consensi sempre più profondi e più vasti e suscita numerose, felici iniziative, ricerche storiche e dogmatiche in ciascuna confessione, miranti a superare ostacoli non sempre di ordine dottrinale, ma che spesso derivano da vicende e situazioni del passato. La ricerca dell’unità dilacerata si è tradotta in forza storicamente operante proprio nel nostro secolo, ma il problema dell’unità si è presentato con drammatica urgenza anche in altri tempi. L’insigne maestro di studi agostiniani e pioniere dell’ecumenismo cattolico, Carlo Boyer, ha creduto utile ricercare i principi dottrinali e parametri di azione, illuminanti anche per l’opera di oggi, nella lunga, instancabile lotta, che il Vescovo di Ippona condusse per ristabilire nella Chiesa d’Africa l’unità religiosa spezzata dallo scisma donatista.
Sant’Agostino dovette combattere contro i manichei, i pelagiani e i donatisti. I primi non erano realmente cristiani, a causa del loro dualismo cosmico e del loro sincretismo. I pelagiani, che esaltavano nel loro rigorismo stoicizzante il libero arbitrio per ridurre la grazia alla stessa facoltà di volere, erano portatori di un’eresia gravissima, ma operavano nel seno stesso della Chiesa Cattolica. Solo i donatisti costituivano una Chiesa saldamente organizzata e S. Agostino, trattando con loro, incontrò alcuni problemi che sono quelli propri dell’ecumenismo. A ragione, dunque, il Boyer ha potuto intitolare il suo scritto “Sant’Agostino e i problemi dell’ecumenismo” .
Egli ha fatto opera di storico sagace e di interprete acuto, recando un altro preciso e prezioso contributo alla conoscenza d’un pensatore e d’un santo come il berbero di Tagaste, inesauribilmente sorprendente nella vastità del suo genio e così moderno nell’attualità del suo messaggio. Per questo il Boyer ha colto un risultato non meno rilevante e decisivo: ha chiarito i principi, lo spirito animatore, i problemi, le vie dell’ecumenismo autentico, invitando discretamente il lettore a cogliere fecondi suggerimenti e ad abbandonare al passato quanto oggi non sarebbe opportuno, perché il tempo di Agostino non è certamente il nostro, ma le sue illuminazioni dottrinali e la sua indomita carità valgono più che mai per il nostro tempo.
S. Agostino denunzia il male dello scisma ed il suo zelo di pastore difende dall’indifferenza. È l’amore per l’errante che spinge Agostino a combattere lo scisma. Lo scisma distrugge la carità, bene essenziale delle anime singole, come della Chiesa nel suo insieme. La carità fa l’unità della Chiesa come l’anima fa quella del corpo: carità e unità sono due aspetti di una sola realtà. Nel clima creatosi dopo la terribile persecuzione di Diocleziano, lo scisma donatista si presentava come la Chiesa dei Santi contro quella dei peccatori. Agostino raccoglie dal Vangelo e dalle lettere dell’Apostolo i simboli e gli esempi che nel modo più esplicito descrivono la Chiesa gravata dall’onere dei peccatori in questo secolo. Il senso comune giudica chiaramente che la colpa macchia chi la commette e non quelli che in nessun modo vi consentono: non diciamo nostra la colpa degli altri. Sorge però nella mente di Agostino un grave problema: se i peccatori sono nella Chiesa, questa, come potrà dirsi santa? La soluzione di Agostino esige attenzione per essere interpretata correttamente. Egli dice: i peccatori sono nella Chiesa, ma non sono la Chiesa. Invece, i giusti sono la Chiesa. «Alcuni sono nella casa di Dio in tal modo che essi sono la medesima casa di Dio… Gli altri si dice siano nella casa in modo da non appartenere alla struttura della casa né alla società della giustizia feconda e pacifica, ma vi sono come la paglia sta al frumento».
I peccatori sono corporalmente, carnalmente nella Chiesa, ma non spiritualmente; spiritualmente sono separati. Il fatto di essere dentro la Chiesa, sia pure corporalmente, implica tuttavia grandi vantaggi di ordine spirituale: tutti, infatti, ricevono la fede e sebbene non abbiano la carità, incompatibile con il loro stato di peccatori, sono però uniti con gli altri fedeli per la partecipazione ai sacramenti, sia che li abbiano ricevuti, come il battesimo, sia che li abbiano facilmente a disposizione. E nelle “Ritrattazioni” (II, 18) Agostino precisa che quando parla della Chiesa senza macchia e senza rughe, non si deve intendere che la Chiesa sia tale, ma che essa si sta preparando ad esser tale, quando apparirà nella sua gloria. Adesso, a causa dell’ignoranza e della infermità dei suoi membri, ha motivo di dire: «Rimettici i nostri debiti!». Yves Congar nella sua “Introduction aux Traités antidonatistes” (1963 – ’65, Desclée de Brouwer) nota opportunamente: «Si l’on prenait l’Ecclesia dans son extension totale, il fallait bien dire, contre les donatistes, que ces hommes (les pécheurs) lui appartenaient: l’Ecclesia était vraiment mixta. Si on la considérait selon ce qui était vraiment elle-même, on devait dire que ces pécheurs tout en étant en elle, n’étaient pas vraiment d’elle».
I seguaci di Donato ritenevano che il valore del battesimo dipendesse dallo stato buono o cattivo dell’anima del ministro. I cattolici, invece, attribuivano e attribuiscono al battesimo un’origine più alta che ne assicura il valore, qualunque sia la condizione del battezzante, giusto o peccatore, eretico o ortodosso, donatista o cattolico. Agostino afferma con risolutezza che il ministro che battezza esercita l’azione del sacramento, ma non è l’autore del valore sacramentale. Cipriano, un secolo prima, aveva negato la validità del battesimo dato agli eretici. Agostino non dubita dell’errore in cui cadde il santo martire, errore di cui l’atteggiamento donatista mostra il pericolo, ma riconosce che ad un dato momento il dubbio poté sorgere su una dottrina che la Sacra Scrittura non conteneva.
In seguito a Nicea, l’argomento fu studiato con maggior cura e fu deciso di continuare nella regola seguita dalla Chiesa antica con gli scismatici e gli eretici: correggere l’errore, ma non ripetere ciò che già era stato dato. Agostino pensa che questa consuetudine venisse dalla tradizione apostolica. «Come molte cose che non si trovano nei loro scritti e neppure nei concilii posteriori, ma che però sono osservate in tutta la Chiesa, sono credute trasmesse e raccomandate da loro». Ove rimanga una disposizione opposta alla carità, il battesimo non può esercitare la sua efficacia; quando cesserà la mancanza di disposizione, scismatici ed eretici non dovranno ricevere un altro battesimo, ma quello che già posseggono sarà connesso al suo effetto naturale. Fatta sempre salva la libertà di Dio, per Agostino la normale via della salvezza è la Chiesa e lo Spirito Santo, nella sua azione, suppone e crea l’appartenenza alla Chiesa. Di qui il suo reciso: «Salus extra Ecclesiam non est».
La conclusione di Agostino appare oggi troppo severa, ma tale non è se si ripercorre il ragionamento del Vescovo d’Ippona e se il suo pensiero viene citato in modo meno lacunoso. Ai tempi nostri, i fratelli separati non sono essi ad aver cominciato la separazione: l’hanno ricevuta dai loro genitori, dopo una lunga serie di generazioni. Non solo sono persuasi di essere nella verità, ma sono disposti a crescere nella verità. Anziché essere nemici dell’unità, stanno facendo lodevoli e ingenti sforzi per ricomporla. In una situazione come quella che caratterizza attualmente le confessioni cristiane non cattoliche, Agostino, applicando il principio ora citato, direbbe che tra i cristiani separati di oggi, molti «non devono in nessun modo essere enumerati tra gli eretici». Egli dice: non si va verso Dio, se non con l’amore; chi rompe l’unità, offende la carità. E, d’altra parte, scrive il santo Dottore, «quelli che senza passione e ostinazione difendono la propria opinione, anche falsa e perversa, se non l’hanno creata loro stessi per audace presunzione, ma l’hanno ricevuta da genitori sedotti caduti nell’errore, e che cercano con prudente cura la verità, disposti a correggersi quando la troveranno, non devono in nessun modo essere enumerati tra gli eretici» (Ep. 43). Ai tempi nostri, i fratelli separati non sono essi ad aver cominciato la separazione: L’hanno ricevuta dai loro genitori, dopo una lunga serie di generazioni. Non solo sono persuasi di essere nella verità, ma sono disposti a crescere nella verità. Anziché essere nemici dell’unità, stanno facendo lodevoli e ingenti sforzi per ricomporla. In una situazione come quella che caratterizza attualmente le confessioni cristiane non cattoliche, Agostino, applicando il principio ora citato, direbbe che tra i cristiani separati di oggi, molti «non devono in nessun modo essere enumerati tra gli eretici».
Il riconoscimento della validità del battesimo nella Chiesa dei donatisti, induce S. Agostino a porre e ad approfondire un problema centrale per l’ecumenismo e per la concezione della Chiesa di Cristo: come si può capire che fuori della Chiesa Cattolica vi siano veri sacramenti? La Chiesa Cattolica, risponde il Vescovo d’Ippona, ammette che al di là delle sue frontiere, tra i cristiani non cattolici, ci siano grandi beni cristiani. Una Chiesa scismatica rigenera, non però in virtù di ciò che la separa dalla cattolica, ma in virtù di ciò che la unisce con quella; non in quanto scismatica e opposta, ma in quanto ha conservato molte ricchezze della vera Chiesa, per cui tra le due comunioni rimane un terreno comune. I beni cristiani comuni alla Chiesa Cattolica e ad altre comunità ecclesiali impediscono dunque la separazione totale. Si deve distinguere ciò che separa le Chiese e ciò che le unisce. Prendere coscienza di quest’unione reale, sebbene ancora imperfetta, è il fondamento di ogni autentico ecumenismo. L’esistenza di quei beni comuni, di quelle vestigia Ecclesiae è incitamento a desiderare e a promuovere l’unione perfetta. Fuori della loro sede naturale, tali doni di Cristo presentano caratteri di incompletezza che sollecitano al loro compimento nell’unica Chiesa di Cristo. «Il sacramento, sì, ce l’hai, ed è per questo che ti cerco. – scrive S. Agostino – Hai un grande motivo perché io ti cerchi con più cura, perché porti il segno stesso del Signore… Abbiamo un unico segno, perché non siamo nel medesimo ovile?» (“Sermo ad Caesar. eccles. pleb.”, 4). Il Dottore della grazia sa che la conversione è opera della grazia di Dio e che la grazia è ottenuta dalla preghiera. Per inculcare fiducia nell’azione divina, utilizza il paragone di San Paolo: Dio ha fatto rinascere i Gentili innestandoli come selvaggio oleastro nell’ulivo del popolo eletto; così egli può per mezzo dell’umiltà inserire nell’albero della chiesa chi se ne è separato. «O Cristo, tu che sei la nostra pace, introduci te stesso nei tuoi, nelle tue istituzioni». Il modo di lavorare per l’unità il Vescovo d’Ippona lo delinea per sempre in una esortazione ai fedeli: «Fratelli miei, ve lo dico: chiamate gemendo, non combattendo; chiamate pregando, chiamate invitando, digiunando. Che la vostra carità faccia capire ad essi che avete pietà di loro» (“In Jo.” tr. 6, 1, 15). I cattolici debbono obbedire al profeta Isaia che esorta in questo modo: «A quelli che dicono: non siete fratelli, rispondete: siete nostri fratelli» (“Is.” 66, 5). «Che lo vogliano o no, (i cristiani separati) sono nostri fratelli. Non saranno più nostri fratelli solamente quando non diranno più: Padre nostro» (“Enarr. in Ps.” 32, 29).
Ai nostri giorni, la meditazione sulla Chiesa impegna maggiormente tutte le comunità cristiane. S. Agostino dà l’esempio di una fede totale non solo in Cristo, ma nella Chiesa, sposa e continuatrice di Cristo. Quando tutta la Chiesa afferma una dottrina, egli crede nella decisione della Chiesa. S. Agostino ammette un processo di chiarificazione nella dottrina, ma la sentenza dei concili, una volta promulgata in accordo con la Sede apostolica, conclude la questione: «la causa è finita, possa finire l’errore» (“Sermo” 131, 10). Quella dell’unità della Chiesa è la convinzione che tutto sostiene e tutto anima. Il Figlio di Dio, venuto a salvare gli uomini, diede loro la sua dottrina, i suoi esempi, la sua vita; partendo, lasciò la sua Chiesa, che da Gerusalemme doveva, in progresso di tempo, estendersi a tutta la terra.
Il punto di partenza della Chiesa di Cristo è Gerusalemme, dove ebbe luogo la Pentecoste e la prima predicazione di San Pietro. Edificando la sua Chiesa, Cristo la provvide dei mezzi della salvezza. La Chiesa di Cristo esiste, dunque, ed è riconoscibile dai caratteri che Egli le ha conferito, e le deficienze degli uomini non possono rendere vana la forza di Dio. Verità e salvezza sono nella vera Chiesa: essa non sarà mai divisa in se stessa; ma rimarrà possibile agli uomini di rifiutare la sua pace, di non accettare tutta la sua dottrina né tutti i suoi mezzi di salvezza, e di formare così delle comunità diverse, con mezzi e organizzazioni diverse. La Chiesa di Cristo è quella in cui la continuità con la Chiesa degli Apostoli è più evidente ed in cui l’indipendenza dai nazionalismi, la cattolicità, secondo il tutto nell’estendersi a tutti e nella integrità della parola di Dio custodita e interpretata, sono sue note essenziali.
Nel secolo scorso non furono forse proprio queste ragioni ad operare nell’anima di Newman? Newman l’esprime, nel suo Loss and Gain, dicendo che un anglicano accetta la Chiesa Cattolica quando scopre che l’insegnamento cattolico «fu già ricevuto in Inghilterra al Nord e al Sud e fin dai primi tempi dell’introduzione del Cristianesimo nel paese; che per quanto lontano risale la testimonianza storica, cristianesimo e cattolicesimo sono sinonimi, che tale è ancora la fede della maggior parte del mondo cristiano». Certo un ecumenismo cattolico è spinto, oggi, all’azione dalla testimonianza da dare perché il mondo creda in Cristo, ma anche dalla fede che «in realtà – secondo la dottrina confermata nel Decreto sull’ecumenismo del recente Concilio – al solo Collegio apostolico, con a capo Pietro, crediamo che il Signore ha affidato tutti i tesori della nuova Alleanza» (“Unitatis redintegratio”, n. 3).
A conclusione di questa rapida rassegna dei motivi ecumenici più attuali che emergono dalla lunga lotta di S. Agostino per l’unità della Chiesa, non potremmo trovare parole più vere e più nobili di quelle che P. Boyer pone a suggello del suo lavoro. «Il cattolico – scrive il Boyer – deve sentire la propria responsabilità nel movimento ecumenico. Il modo più efficace per attirare la pienezza dei doni e delle grazie di Cristo è di mostrare la pienezza dei doni in esercizio. Chi possiede un grande tesoro senza usarlo è più povero di chi usa bene di un tesoro minore. Non è diminuendo o sbiadendo gli opulenti doni di Cristo che gli sono propri che il cattolico serve l’unità, ma usando sempre meglio tali propri doni insieme coi doni comuni ad altri».
Humanitas, n. 4 – 1970.
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