Per i 70 anni dello scautismo bresciano venerdì 20 novembre 2015 alle ore 20,45 nella Sala Bevilacqua di via Pace n.10 a Brescia, si è tenuto un incontro sul tema
Scout, una scuola di vita.
Relatori: Roberto Cociancich e Paola Dal Toso.
I testi non sono stati rivisti dagli autori
GIAN MARIA ZANONI: Prima di presentare questa serata ringrazio i Padri della Pace che con la solita sensibilità hanno messo a disposizione questa sala. 70 anni fa, lo scoutismo bresciano nasceva anche tra queste mura, grazie alla cura e al sostegno dei Padri.
Per celebrare i 70 anni, la Fondazione S. Giorgio, la CCDC e l’Agesci di Brescia hanno voluto organizzare questo incontro questa sera. Gli anniversari, si sa, possono scivolare nel nostalgico e nell’auto-celebrativo. Però possono essere anche un’occasione importante, preziosa per pensare criticamente le proprie origini, la propria identità, le radici. Insomma, quelle caratteristiche che consentono di affrontare in maniera originale e credibile le sfide del presente. Quindi affrontare la tematica religiosa per un’associazione – come lo scoutismo – che ha fatto dell’educazione dei giovani una vocazione è sicuramente una necessità e una sfida.
In un tempo come il nostro, in cui integralismi e fondamentalismi assolutamente radicali generano, sostengono e giustificano le più atroci violenze, sia militari che terroristiche, e dall’altra parte in cui un laicismo superficiale, alla moda, distratto non disdegna di utilizzare i modi o la stessa aggressività di tanti fondamentalismi, in un tempo come questo io credo che molte voci si alzino intelligenti, appassionate per indicare nell’educazione, e più esattamente nell’educazione religiosa, un antidoto significativo per arrestare una deriva che sembra inarrestabile. È per questo che stasera abbiamo invitato Paola Tosi, docente di storia della pedagogia all’Università di Verona, che si è interessata approfonditamente della storia dell’associazionismo giovanile ed è profonda conoscitrice dello scoutismo non solo come oggetto di studio ma soprattutto perché l’ha vissuto come profondo, significativo servizio. A Paola del Toso che ha scritto questo bel libro su Giovanni Battista Montini e lo scoutismo abbiamo chiesto di rievocare per noi questa sera lo spirito, le vicende che hanno caratterizzato un’età come quella montiniana che potremmo chiamare “l’età del Concilio” e che ha profondamente inciso nello spirito e nei contenuti dell’attuale proposta religiosa scout. E abbiamo inviato anche Roberto Cociancich, avvocato milanese, senatore della repubblica, ma soprattutto incaricato nazionale per la Branca R/S. Durante il suo servizio ha organizzato il clan per soccorrere i bambini della ex-Jugoslavia e dell’Albania e attualmente è Presidente mondiale della Conferenza Internazionale Cattolica dello Scoutismo. A lui abbiamo chiesto di presentarci gli aspetti e le criticità che la dimensione religiosa presenta sia a livello nazionale che a livello internazionale oggi. E infine don Alessandro Camadini, assistente regionale della Lombardia, che è stato assistente della zona di Brescia e che quindi conosce a fondo la nostra realtà. A lui abbiamo chiesto di illustrarci le caratteristiche e le peculiarità della proposta educativa scout qui, nella nostra realtà locale. Avremo dunque queste tre dimensioni per affrontare la serata, perché la Fondazione s. Giorgio, la CCDC e l’Agesci hanno voluto questa serata per riflettere con coloro che vivono o hanno vissuto lo scoutismo. Ma anche con coloro che formano quella dimensione sociale all’interno della quale lo scoutismo opera. Perché sia possibile valorizzare e sorreggere il suo impegno educativo.
PAOLA DAL TOSO: Buonasera a tutti e grazie di questa opportunità. Per rispondere alla domanda che mi è stata fatta credo sia importante intanto capire un poco qual è il pensiero di Montini sullo scoutismo non solamente nel periodo del Concilio, ma in una prospettiva più ampia. Provo allora a rispondere a questa domanda spiegando come mai mi sono dedicata a un lavoro di questo genere che non era assolutamente previsto nell’ambito delle mie ricerche universitarie.
Che Montini abbia una sensibilità educativa lo sappiamo tutti. Essa si esprime soprattutto nell’impegno nella Federazione degli Universitari Cattolici (FUCI) e con la grande attenzione che lui ha per l’educazione dei giovani e la formazione delle coscienze. Avevo avuto modo di riflettere su queste tematiche perché qui all’Università Cattolica, in occasione di un paio di seminari, avevamo affrontato la figura di Montini e mi era venuta l’idea di approfondire il suo impegno coi giovani nel periodo in cui era arcivescovo di Milano. Operazione molto semplice perché l’Agesci aveva pubblicato una raccolta di documenti inerenti lo scoutismo e la chiesa a cura di Giovanni Morello e don Pieri. Lì mi sono subito fatta un’idea di quanto Paolo VI ha espresso, scritto dei messaggi agli scout in occasioni di udienze e incontri vari, anche con i messaggi nel periodo in cui era impegnato alla Segreteria di Stato.
Quello che ho subito colto è il fatto che quanto lui esprime non è mai un messaggio di tipo formale, di circostanza, di auguri e basta. Quindi viene da chiedersi: come mai conosce così bene lo scoutismo? Nella seconda parte del libro si trova una lettura “pedagogica”. Montini, appena inserito nella curia vaticana, viene invitato a occuparsi dei giovani e lo fa nella zona in cui risiede insieme con il padre. C’è quindi un impegno diretto e secondo me c’è proprio un innamoramento, o per lo meno ha incontrato dei capi scout così significativi che l’hanno appassionato. Mi ha profondamente colpito poi tutta l’azione che egli compie a sostegno di una rinascita autonoma dello scoutismo negli anni che precedono la conclusione della guerra. Quando si comincia a percepire che la guerra terminerà, la dirigenza dell’ex Asci si muove per dar vita allo scoutismo, ma si scontra con quello che è il progetto Gedda, cioè l’azione in generale dell’Azione Cattolica che intende far rinascere lo scoutismo come una sezione dell’AC. Quello che impressiona è da una parte la relazione stretta che si sviluppa tra questi capi dell’ex Asci con Montini e dall’altra Montini che sostiene una rinascita, inizialmente di compromesso con AC, ma poi verso una completa autonomia. E questo è estremamente interessante per la promozione futura di autonomia dello scoutismo. Fa svolgere le riunioni in Vaticano, quindi chiaramente in una Roma occupata tutela queste riunioni in un ambiente che è il suo appartamento. Poi altri elementi, la rinascita anche sul piano economico. Fa da ponte con il Papa. Questo è dovuto forse a uno stretto rapporto di amicizia con i laici, i capi, e tutto l’entourage di Montini. Una cosa che meriterebbe lo studio è che probabilmente Montini apprezza il metodo scout perché lo conosce attraverso il rapporto che ha con don Andrea Ghetti, un suo figlio spirituale.
Don Andrea viene mandato a studiare a Roma e trascorre quel periodo come ospite nel seminario lombardo, dove ci sono altre figure di sacerdoti che hanno una rilevanza per la storia dello scoutismo, come Don Francesco Bertoglio, della diocesi di Milano, don Tarcisio Ferraroni e altri. In questo seminario lombardo furono ospitati anche più di cento ebrei e vennero inseriti nelle attività serali scout animate da Giuseppe Mira, futuro presidente dell’Asci e perseguitato e ricercato dalle SS. Di fatto quindi il seminario lombardo è un luogo dove lo scoutismo è ben presente. Questo è un luogo che Montini ha modo di frequentare, prima del Natale del ‘44, perché dichiarato territorio vaticano.
Quanto Montini esprime nei messaggi del periodo in cui è sostituto alla Segreteria di Stato, e quindi firma a nome del papa, quando è arcivescovo di Milano e poi papa, non è mai di circostanza. Considerandoli tutti insieme, si può fare una lettura del significato educativo che Montini riconosce allo scoutismo. Forse l’espressione più bella che sintetizza la sua passione è la definizione che ne dà: “questo magnifico gioco, strumento educativo”. È interessante come da un punto di vista cronologico la conoscenza sia sempre più approfondita, all’altezza di un capo scout che ha una profonda conoscenza del metodo.
Vorrei sottolineare alcuni altri aspetti. Montini è convinto che, lo scrive ripetutamente, la proposta scout sia un originale sistema pedagogico che si salda con il Vangelo, che proprio si innesta nel suo spirito e nei suoi valori, e che consente di sviluppare la personalità del giovane. Ancora, a suo parere il movimento scout deve essere preoccupato di offrire un’autentica educazione alla fede, e ne stila un elenco di virtù umane: la generosità, la lealtà, la purezza, il servizio ecc.
Uno stupendo gioco che educa alle virtù cristiane, allo spirito di servizio. Questo apprezzamento va contestualizzato però all’interno del clima italiano nei confronti dello scoutismo. Teniamo presente che quando lo scoutismo arriva in Italia ci sono forti pregiudizi perché questa proposta viene criticata in quanto esalta il naturalismo, che è di matrice protestante. Inoltre si dice che Baden Powell sia un massone eccettera. Insomma, una serie di obiezioni sostenute in particolare da una rivista di gesuiti. Già tra il 1910 e il 1913, prima che nasca lo scoutismo cattolico a inizio 1916, la valutazione sullo scoutismo è negativa. È quindi estremamente interessante che Montini apprezzi lo scoutismo, anche se ci aveva già pensato il primo assistente Giuseppe Gianfranceschi, gesuita. Ma la voce di Montini è estremamente autorevole. Quando Montini sottolinea come lo scoutismo si innesti nel messaggio cristiano, quindi, va tenuto presente che lo sfondo è di base contrario allo scoutismo. Questo pregiudizio continuerà nel tempo, non viene superato in maniera sbrigativa.
Ancora, il metodo viene esaltato nel testo in cui si parla di una “canonizzazione” del metodo scout, che viene apprezzato dai vescovi: la chiesa l’ha riconosciuto buono e valido ai fini dei suoi scopi di valorizzazione cristiana e soprannaturale. Da questo punto di vista, la chiesa è sempre stata sensibile all’educazione e quindi questa proposta è risultata uno strumento prezioso per lo stesso contesto ecclesiale. Scrive Montini: “Porta all’educazione cattolica il suo contributo notevole, attuale, per nulla superato, di grande necessità e utilità”. Ci sono qui dei passaggi in cui Montini analizza anche la realtà giovanile del tempo, soprattutto i messaggi che rivolge nel periodo in cui è arcivescovo (quando incontra gli assistenti scout della regione Lombardia, all’inaugurazione della struttura di via Burgozio), nei quali si trova una lettura delle problematiche e delle esigenze giovanili e in cui spiega come, secondo lui, lo scoutismo risponda al bisogno sostanzialmente religioso profondamente presente nel cuore di ogni persona, indipendentemente dal momento storico, l’età o la provenienza geografica. Montini apprezza moltissimo la dimensione della fraternità e quindi internazionale dello scoutismo: lo coglie come uno strumento per costruire la pace. Sottolinea come la formazione scout consentirà anche di impegnarsi nel sociale per il bene comune. Chi è passato da questa scuola sarà in grado di impegnarsi nel civile e nel politico assumendo incarichi e responabilità. Ovviamente è apprezzamento per come lo scoutismo consente di andare al di là di barriere, delle divisioni, dei muri rappresentati dalla differenza di razza, di religione o lingua. Un movimento quindi che “possa essere sempre una forza potente per installare quei valore autentici per un mondo basato sull’amicizia e la fraternità, in cui pace e giustizia saranno saldamente stabilite”.
C’è quindi una grande fiducia e profonda convinzione del contributo dello scoutismo in questo senso: “I risultati consentono di vedere la personalità formata, il senso di responsabilità, di impegno personale la formazione sociale e comunitaria, che sono le mete supreme”. C’è una lettura dal punto di vista religioso, chiaramente; ma non si limita a questo. Coglie come la proposta educativa consente di far crescere delle persone che sono poi in grado di inserirsi nella società e dare un contributo. Che è poi il nostro spirito, sintetizzato nel “lasciare il mondo un po’ migliore di come l’abbiamo trovato”. Uno sguardo quindi sullo scoutismo come potenzialità non solo da un punto di vista della fede, ma anche come prospettiva più ampia e globale.
Grande sia quindi la fiducia nei giovani, riconosce la valenza educativa della disciplina, raccomanda la partecipazione alla vita della parrocchia e che il giovane non sia lasciato ai margini. Egli “deve essere reso sempre più cosciente dell’apporto che deve dare alla vita familiare, sociale e alla vita politica internazionale e gli sia data la possibilità di incontrare persone che lo aiutino a formarsi a questi gravi compiti. Lo ha chiesto il Concilio Vaticano II con parole chiare e devono far pensare gli adulti sulle loro responsabilità in questo campo”. Già mi sembra che questo sia bellissimo, una bella linea di azione cui siamo invitati. Segue poi una riflessione da cogliere sulla figura dell’educatore, quindi l’impegno e la responsabilizzazione dei capi che diventano esempi insegnando che la “gioia vera della vita nasce dal servire Dio nelle cose semplici e buone, nei giochi innocenti e utili, nell’amore della bellezza del creato nel virile sforzo quotidiano nel mantenere e accrescere in sé la grazia del Signore anche quando costa fatiche e rinunce”.
A me ha fatto molta impressione la capacità di entrare in profondità e cogliere le varie sfaccettature della valenza educativa della proposta scout, di come Montini le faccia proprie e le rilanci allo scoutismo, richiamando i capi scout su quello che dovrebbe essere un patrimonio acquisito e risveglia la coscienza e l’intenzionalità educativa. Per me oggi il problema è proprio questo: offrire una proposta secondo l’intenzionalità educativa e non secondo una ripetitività. Ma con la consapevolezza che la proposta educativa può raggiungere gli obiettivi preposti. Sono rimasta infatti a bocca aperta perché non mi aspettavo una conoscenza così profonda in Montini della conoscenza del metodo e della spiritualità scout. Ma già leggere un pezzetto mi mette in crisi, è fortemente provocatorio verso la mia conoscenza del metodo.
ROBERTO COCIANCICH
Ci troviamo a parlare con il pensiero agli attentati drammatici delle ultime ore. Forse questo incontro non era stato pensato in termini simili, ma oggi l’occasione straordinaria è che possiamo farne una lettura ponendo al centro, come imputato principale, il fanatismo religioso, il radicalismo. Si dimentica e si pensa che tutte le religioni possono essere fonti di conflitti e di discordia e che quindi la soluzione sia attenuare il patto delle nostre religioni nella società, di sterilizzarle, di mitigarne la rilevanza. E questo apre lo spazio a delle società secolari: la base comune sono valori democratici e civili condivisi ma l’esercizio di una vita spirituale o religiosa deve diventare un fatto privato e non può avere rilevanza sociale.
Vorrei proporvi di utilizzare lo scoutismo come una sorta di lente su questo tipo di approccio, perché oggi lo scoutismo risente moltissimo di quest’impostazione. Abbiamo avuto un quadro di come lo scoutismo si sia sviluppato in Italia anche grazie al forte impulso di papa Montini, ma bisogna dire che in Europa il taglio è molto diverso da come noi lo viviamo. Noi siamo abituati a pensarli simili, invece l’Italia è come una mosca bianca. Nel mondo ci sono circa 35 milioni di scout, i cattolici sono una minoranza, la maggioranza è mussulmana. Ci sono anche le altre religioni, gli induisti, i protestanti, i mormoni (predominanti negli Usa). Gli scout cattolici sono circa 6 milioni. Nella quasi totalità dei casi, lo scoutismo cattolico è componente di un’associazione mista, come l’Agesci. Ci sono gruppi di cattolici che stanno all’interno di associazioni che sono gruppi confessionali, e che quindi hanno dei diritti di espressione limitati. Questo ha un suo impatto quando parliamo del rapporto fede cristiana e scoutismo.
Cosa accomuna tutti gli scout del mondo? La legge e la promessa scout. In teoria però, perché in realtà la legge ha già due varianti, CNGEI e Agesci, ma anche la promessa, per esempio in Inghilterra, ha punti differenti: sta scritto che ci impegniamo a fare del nostro meglio davanti a Dio e davanti al nostro Paese, in Inghilterra dicono davanti a Dio e davanti alla regina, che incarna il senso della patria. Culturalmente gli inglesi hanno previsto di poter togliere il riferimento verso Dio, mentre tutti mantengono la regina. Anche i Belgi hanno compiuto una mossa analoga. Il Belgio è il paese in cui è nato lo scoutismo cattolico, nonostante le resistenze iniziali dei gesuiti. Nel 1913 Jacques Savin fondò i primi reparti e oggi i suoi eredi hanno tolto ogni riferimento a Dio nella promessa. E così anche in Catalonia. Questo perché si diffonde l’idea che alla fine lo scoutismo sia una piattaforma valoriale nella quale ognuno può giocare il gioco che vuole, e quindi il fattore religioso diventa un fatto secondario. In anni in cui un’appartenenza simile può essere fonte di conflitto, la tendenza di un mondo – quello scout – in cui la parola d’ordine è unità è diminuire quanto può essere causa discordia o disunione, ossia la dimensione religiosa e i diversi credo. Con questo non si abroga la dimensione religiosa ma la si relativizza a un’opzione individuale. In quelle associazioni in cui l’appartenenza confessionale è non dell’associazione stessa ma di alcuni gruppi o individui questa cosa è facilitata. Ho dimenticato di dire per dare un’idea un po’ più complessa che in alcuni paesi l’esperienza religiosa, specialmente in Asia, è adattata alle fasi della vita: piace di più fare una cerimonia iniziale induista, ma il funerale è più bello cattolico – insomma, si sceglie il rito a seconda di una preferenza puramente soggettiva. Ho avuto il piacere di incontrare il presidente degli scout cattolici giapponesi, che mi ha mostrato tutte le loro attività, e alla fine mi ha candidamente confessato di non essere battezzato, perché non lo riteneva necessario. Questo per dire che come noi vediamo lo scoutismo non è lo stesso modo degli altri.
Mi capita di essere residente mondiale della Conferenza Cattolica Mondiale dello Scoutismo, che raduna un po’ tutto questo marasma. In sintesi, abbiamo quattro grandi regioni: l’Europa con il Mediterraneo, l’Africa, l’Asia con il Pacifico e l’Inter-America. Cerchiamo di tenere i contatti tra WOSM(World Organization of the Scout Movement) e il Vaticano innanzitutto, per avere un ponte tra l’organizzazione mondiale dello scoutismo, che è presieduta da un comitato mondiale che fino a poco tempo fa era a Ginevra e ora è stata spostata. In Asia ci sono la maggior parte degli scout; in Europa ci sono un sacco di associazioni, ma otto milioni di scout, solo per citarne una, si trovano in Indonesia. In Italia saremo a dir tanto centomila. In alcuni luoghi lo scoutismo fa parte del sistema educativo nazionale, ed è quindi praticamente obbligatorio. Ovviamente in Indonesia sono scout musulmani, perché è un Paese musulmano. Fanno in fretta a essere otto milioni, ma questo spiega che lo scoutismo non è quindi in tutto il mondo come lo pensiamo noi, la scelta di vestirci in calzoncini corti il sabato e la domenica, sfidando il freddo e magari l’ironia dei compagni; no, lì è obbligatorio. Da noi è un esercizio eroico, da loro è ordinario.
Lo scorso weekend ci siamo trovati a Vienna per parlare proprio del problema che ho introdotto prima sulle modifiche della promessa. Cosa stiamo perdendo se togliamo quello che si chiama il “Duty to God”? Cosa ne rimane dello scoutismo? È possibile? Adesso è iniziato un percorso sulla base del quale nel giro di due anni si potrebbe dare la facoltà a tutti di togliere il riferimento a Dio nella promessa. Per fortuna ci sono i musulmani: per loro questa è una cosa che non esiste proprio. Noi siamo abbastanza tranquilli, ma la verità è che ci nascondiamo dietro la sciabola di Allah e quindi noi con il nostro crocifisso sulle uniformi ci troveremmo in difficoltà. E siccome sarà una decisione presa dalla maggioranza della conferenza mondiale dello scoutismo che si terrà in Kazakistan ci siamo trovati per parlarne ed è stato un incontro molto ricco.
Qual è la mia riflessione su questo punto? Al di là delle considerazioni numeriche, bisogna dare un po’ di sostanza a questi temi. In che modo oggi la dimensione religiosa è ancora connaturata e necessaria allo scoutismo? Perché è un valore che dobbiamo difendere? Perché dal nostro punto di vista non è accettabile l’equiparazione religione uguale intolleranza, conflitto, casino, un sacco di problemi di cui possiamo fare a meno perché tanto lo scoutismo va avanti lo stesso, anzi meglio. Perché in realtà è così importante, e vale la pena di spendersi, di battersi affinché rimanga al centro dell’esperienza scout questa dimensione religiosa? Io credo che la religione abbia a che fare con la domanda del “perché”. Le pedagogie hanno a che fare con la domanda del “come”: come posso diventare più competente, come posso diventare di carattere più forte, come posso andare meglio in barca vela. Il metodo educativo aiuta a capire come fare un certo percorso, ma la religione ti dice perché farlo. Perché vivo? Perché muoio? Perché amo? Perché soffro? Perché ha senso la mia vita? La domanda religiosa riguarda cioè il senso dell’esistenza. E lo scoutismo per me non è semplicemente un insieme di attività pratiche né un metodo educativo ma un’esperienza che ha al suo fondo questa straordinaria capacità di aiutarci a scoprire il perché della nostra esistenza. Quando facciamo una veglia alle stelle, o quando guardiamo le scintille del fuoco salire verso il cielo, o quando vediamo dopo una lunga camminata il tramonto che si apre, sono momenti che ciascuno di noi, se ripensa la propria esperienza scout particolare, ha colto qualcosa di profondo della sua esistenza, qualcosa che andava al di là del cammino prettamente orizzontale degli uomini e che invece incrociava la dimensione verticale che ti dice che non siamo destinati soltanto a finire in due metri per uno sotto terra, ma che il nostro destino è aperto a una prospettiva più luminosa. Questo l’abbiamo sentito nel cuore, magari anche durante una messa, o all’interno di canto, che però ci aiuta ad aprire mente e cuore in maniera più potente, soprattutto a 14 e a 16 anni, perché lo scoutismo ci colloca in un contesto straordinario, nella natura, nell’amicizia, nella gioia e nel sacrificio, che di fatto è un po’ come una porta che si apre. E che mi dà l’idea di qualcosa che c’è al di là. Se io tolgo questa dimensione di mistero, di trascendenza, che c’è nello scoutismo, lo privo di quello che è il suo elemento magico, l’elemento chiave e lo faccio diventare come una cosa tipo imparare a suonare la chitarra, imparare a sciare, che sono esperienze bellissime ma non vitali. E quando Baden Powell diceva “fai bene quello che sei”, non importa se sei cristiano, musulmano o ebreo, ma cerca di vivere fino in fondo la tua fede. Con un’apertura mentale straordinaria diceva esattamente questo e coglieva un elemento universale nello scoutismo che si applica a tutte le religioni, ma non per questo può fare a meno della dimensione religiosa, culturale, narrativa, che sta sotto lo scoutismo e che lo ispira. Lo scoutismo non è soltanto un’attività ma è un cammino di vita, e senza la dimensione religiosa, questo viene perso. Io sono profondamente determinato a difendere il “duty to God”, non perché voglio piantare la bandierina cattolica al centro del giglio scout, ma perché voglio difendere lo scoutismo, questa sua potenzialità, che sarebbe sterilizzata se venisse a mancare la dimensione religiosa.
Ma c’è un aspetto più insidioso, perché molti dicono: “Ok, va bene la religione, ma parliamo di spiritualità. La chiesa, le istituzioni, queste cose qui, non mi piacciono, ma la spiritualità non è male, è qualcosa su cui tutti concordiamo”. Anche questo, nulla in contrario, ma credo ci sia un elemento che rischiamo di perdere, perché la dimensione religiosa non è un fatto solo individuale – certo, parte da un’interiorizzazione del singolo, ma è anche certamente qualcosa che si vive all’interno di una comunità. E noi, se ci limitiamo a restringere il perimetro della nostra vita religiosa in un ambito singolare, perdiamo tutto l’aspetto comunitario, che è importante.
È presente già nel nome “religo”, unire le cose, dunque cominciamo a riunirci fra persone. È una fede che riceviamo e che viviamo insieme agli altri, è un modo di relazionarci e di guardare l’altro. Il mio sguardo verso l’altro è profondamente influenzato dalla religione. Se oggi lo contestualizziamo nel mondo mercantile in cui noi viviamo, l’altro da me è tendenzialmente una merce, cerco di accaparrare quello che è fuori di me, il gusto di sfruttare gli altri e le cose. Perché non approfittare degli altri e non tornare a una forma di schiavitù? Cosa che in qualche modo c’è, sotto nome di contratti fantasiosi, ma poi la sostanza è lo sfruttamento. Questo contrasta con l’idea che l’altro è un fine, una meta verso il quale andare. Ma questo lo riconosco nel momento in cui ho una dimensione religiosa, perché mi sento parte di una comunità e l’altro è mio fratello, un compagno di strada, una persona con cui ho legame di solidarietà profonda che non dipendono solo da me ma da una condizione ontologica profonda, che ci precede.
Credo che oggi sia importante valorizzare la dimensione non solo spirituale ma religiosa, e che ci sia un bisogno di riscoprirla in quanto dimensione collettiva e non solo individuale. Credo che l’interreligiosità, il dialogo fra religioni, sia importantissimo e vada approfondito e praticato. Su questo lo scoutismo può fare molto, perché è stato interreligioso fin dall’inizio e ci aiuta a valorizzare e a dare fiducia alla nostra religione. Perché capiamo che non è solo un aspetto identitario, da difesa del mio orto, ma è invece la premessa per il dialogo con gli altri, specialmente oggi, per le generazioni nuove che guardano con sospetto la propria chiesa, la propria religione e sono fortemente influenzate da questa cultura secolare che per certi aspetti ha anche ragione. La capacità di ripartire dalla religione per costruire ponti e ritrovare un dialogo con gli altri non è soltanto un fatto positivo in termini di guardare con molti punti di vista o, con un’espressione molto di moda oggi, con sguardo olistico, ma è anche un modo per guardare in modo più rasserenante alla nostra stessa religione. Ne parlavo qualche giorno fa con il capo della Conferenza ebraica dello scoutismo: più dialogo fra religioni più riscopro la ricchezza della mia. Nello scoutismo c’è questa opportunità straordinaria di scoprire nel dialogo la propria radice e di valorizzarla.
Infine, come ultima cosa mi riallaccio alle parole di Paola, che ha parlato di papa Montini. Io ho avuto la fortuna di incontrare papa Francesco e di parargli dello scoutismo. Lui non ne sapeva assolutamente niente. Però è un uomo molto affascinante, che ha il linguaggio dello scoutismo naturalmente. Se noi leggiamo l’enciclica appena uscita, Laudato sii, c’è una intuizione che per me è davvero universalista e che contiene un messaggio che può andare al di là delle barriere tradizionali della parrocchia cattolica. Quando lui dice: noi dobbiamo ricordarci dell’eredità. Quale eredità? Del mondo, di quelli che ci hanno preceduto. Il mondo non ci appartiene, non ne siamo i padroni ma i custodi. Abbiamo ricevuto il creato per passarlo agli altri. E mi colpisce che il papa con un’immagine così semplice ma così profonda e universale, che va bene per noi cattolici ma per qualunque religione, anche per chi non vuole nessuna religione. Non c’è nessuno che possa sentirsi non responsabile del mondo che abbiamo ereditato, di salvaguardarlo e di trasmetterlo a chi verrà dopo di noi. Soprattutto alla luce dei fatti terribili di questi giorni, pensando ai valori che abbiamo: di amicizia, di riguardo, di rispetto reciproco.
Quindi, io credo che con papa Francesco forse il cammino iniziato con papa Montini trovi una continuazione coerente, forte, un messaggio universale, un segno della perdurante validità della logica religiosa che sta all’interno dello scoutismo.