Il prof. Matteo Perrini si inserisce nel dialogo fra laicisti e cattolici su un problema
di capitale importanza, che merita di essere conosciuto in tutti i suoi vari aspetti.
Signor direttore,
ho seguito con viva attenzione la polemica sul giornale da Lei diretto fra i laicisti di Scuola e Stato e il dott. Mario Cattaneo. Sono un cattolico sinceramente democratico e mi dolgo che gli amici di democrazia laica si siano lasciati andare ad affermazioni che si giustificano nel contesto di una concezione totalitaria e non in una visione democratica, e perciò pluralistica, della società e dello Stato. Ogni democratico, quale sia il suo particolare punto di vista ideologico, tiene saldo il diritto inalienabile della famiglia all’educazione dei figli sovrattutto per quanto concerne l’orientamento decisivo al fine primario e trascendente della vita, orientamento di cui i genitori sono i primi naturali maestri e custodi e i professori non devono credersi gli arbitri assoluti e i facili sovvertitori. Tutto ciò che si fa nella famiglia è partecipe non solo della carne, ma dello spirito e della fede.
La società civile comprende e, in un certo senso, subordina a sé la famiglia nella superiore finalità della ricerca del bene comune; ma, se vuol essere fedele alle sue esigenze, non può diventare oppressiva delle ragioni intime della famiglia. Lo Stato, che è la principale delle società civili, non è il fine ultimo assoluto dell’uomo. L’uomo deve impegnarsi a servire con dedizione lo Stato, per quegli aspetti che in lui ne dipendono, pronto ad offrire anche la sua vita ove il bene comune lo esiga; ma, in ragione di altre relazioni, vi sono nell’uomo esigenze più elevate e valori che trascendono lo Stato, qualsiasi Stato, totalitario o democratico che sia. Nell’uomo vi sono problemi e valori in cui Cesare non c’entra.
Senza dubbio l’azione educativa dello Stato è notevole in quanto contribuisce a formare o a deformare il costume e la mentalità dei cittadini; ma essa è indiretta in uno Stato democratico, il quale non vanta una dottrina educativa propria, ricevendola per così dire dalla comunità dei cittadini (così, ad esempio, lo Stato democratico cura l’insegnamento della Carta Costituzionale nella scuola proprio e solo in nome di quel consenso per il quale la carta è approvata dal popolo).
Assai discutibile mi pare poi il richiamarsi, in tono accusatorio, a situazioni e istituzioni storiche che si sono presentate nella lunga storia della Chiesa e che vanno conosciute e giudicate una per una, nel loro significato autentico: è atteggiamento antistorico per eccellenza il considerare i problemi, le opinioni, i sentimenti di un tempo, alla stregua del sentire e delle convinzioni di tutt’altra epoca, dimenticando che nella storia della Chiesa «quasi mai – è lo Jemolo che ce lo attesta – si presentano problemi riconducibili a puri problemi di interessi, a calcoli di convenienza».
D’altra parte – e qui penso che sostanzialmente sia d’accordo con me anche il dott. Cattaneo, di cui tante volte in passato ebbi ad apprezzare le coraggiose prese di posizione su Realtà Giovanile, il più impegnato e serio tra i periodici bresciani – si deve onestamente ammettere che la richiesta di sovvenzioni statali alle scuole cattoliche, nelle forme e nella entità prospettate da certe riviste cattoliche e da qualche parlamentare, manca di moderazione e non tiene esatto conto della situazione politico-parlamentare attuale. Alcuni cattolici, purtroppo, dimenticano che la politica non consente di chiudere gli occhi alla realtà e di trincerarsi in una deduzione logica dai princìpi, per quanto conformi ai diritti di natura e di ragione essi siano.
Mi sia consentito esprimere un duplice augurio: che i cattolici abbiano scuole culturalmente progredite e di alta efficacia educativa, istituite e sorrette essenzialmente dal sacrificio e dalla passione educativa dei cattolici; che i laicisti, quelli almeno pensosi dell’educazione dei giovani e dei suoi concreti problemi, riconoscano l’urgenza di una schietta e profonda animazione etica e religiosa dell’opera educativa per superare il tragico travaglio e l’insensibilità morale dei tempi nostri e promuovere sul serio la dedizione costante, generosa dei giovani ai valori universali, ad una vita superiore perché più degnamente umana e cristiana. Al di là del cattivo zelo polemico, ogni uomo di cultura, non può, infatti, non ravvisare nella Chiesa Cattolica il supremo organismo etico attraverso il quale la più grande rivoluzione spirituale, quella operata dal Cristianesimo, ha esercitato nella storia la sua missione liberatrice con una continuità ed una vitalità sempre rinnovata, pur attraverso crisi e umane pesantezze.
Nel momento in cui l’asprezza del contrasto eccita gli animi, una parola che voglia essere chiara sino in fondo e rasserenatrice, anche se detta senza sottintesi e senza mimetismi, senza inutili equilibrismi, rischia di essere fraintesa, sgradita a tutti: ciò non vuol dire che sia superflua e che andava taciuta.
Grato dell’ospitalità. Suo
Matteo Perrini
La Voce del Popolo, 2 settembre 1961.