Socrate, la grande missione storica

La figura di Socrate è ben singolare. C’è qualcosa in lui che l’accosta agli stessi sofisti ed è la sua spregiudicatezza nel sottoporre ogni problema, fatto o comportamento all’esame, alla critica, al dibattito. “Un’esistenza cui sia tolto il libero esercizio d’indagine (l’esame del pro e del contro) è un’esistenza che nemmeno vale la pena di essere vissuta” dice Socrate nell’”Apologia” (38 a). Il figlio di Sofronisco ha una sola ardente passione, per la quale ritiene degna la vita di essere vissuta, la passione di conoscere la verità, nella misura in cui essa si lascia afferrare, per conformare ad essa la vita. Per questo Socrate sorpassa i sofisti e si oppone ad essi nella sua opera di ricostruzione intellettuale e morale. Egli diede soprattutto importanza alla razionalità ed ebbe di mira la formazione delle intelligenze; tuttavia la tecnica della controversia, piegata dai sofisti a fini scettici e negativi, in lui si trasforma in metodo attivo, in un’interrogazione che, se condotta con metodo, può anche giungere alla certezza razionale. Con Socrate la retorica diviene dialettica, ricerca delle connessioni razionali al posto della suggestione della parola, dialogo aperto alla prova e agli apporti della discussione e della ricerca associata, e dunque psicagogia, arte di persuadere se stesso e gli altri su ciò che insieme è stato scoperto come giusto, vero, buono. Il suo vivace, instancabile apostolato è svolto col proposito di purificare i valori, facendone rilevare la rigorosa struttura e fondazione logica, in una visione critica, ma serena e oggettiva, lontana ad un tempo dall’ignoranza di coloro che alla tradizione erano legati per sola forza di abitudine e dalla saccenteria presuntuosa dei sofisti. Il suo scopo è di dare agli uomini la coscienza della propria responsabilità.
Al più lucido avversario dei sofisti, a Socrate, toccò la sorte di essere confuso con i sofisti nella parodia che del suo insegnamento si fa nelle “Nubi” di Aristofane: parodia che è tanto più odiosa se si pensa che l’informazione, peregrina per il popolo, non doveva essere tale per il commediografo, il quale nella stessa opera, vera commedia degli errori, che fa da prologo alla più alta tragedia del mondo pre-cristiano, si dimostra abbastanza bene informato. Un filosofo di tanta grandezza, educatore puro e disinteressato, non poté sottrarsi al fraintendimento e all’odio persecutorio, dei tradizionalisti come Aristofane e degli eversori come Callicle, dei dommatici e degli ipercritici ad ogni costo, forse proprio a causa dell’originalità del suo punto di vista, che si collocava ben più in alto rispetto alle loro unilateralità di opposto segno, che nondimeno si implicavano e si alimentavano a vicenda. Socrate rifiutò di lasciarsi attrarre dal troppo facile e superficiale scontro delle posizioni estreme di un Aristofane o di un Callicle, perché quella contrapposizione non faceva che mettere a tacere la voce della ragione, che è invece la prima cosa di cui l’uomo e la polis hanno bisogno. Non si tratta per Socrate di mediare due posizioni antitetiche, di cui una riesca di fatto a prevalere sia pure arricchita dal superamento della sua negazione. Ben altra e ben più alta è la posta in gioco ed in essa è impegnato il destino dell’uomo e della civiltà: la scoperta e la giustificazione razionale del valore morale, del bene, della sua spiritualità e interiorità, di contro alle sue negazioni e deformazioni, di fronte ai disvalori che immiseriscono la vita delle singole persone e delle comunità, quando non la pervertono. Si comprende allora perché Socrate è il vero iniziatore dell’umanesimo perenne, l’“impolitico” di cui la politica ha sempre bisogno.
Il contributo di Socrate è di portata immensa. Egli sollevò la crisi del costume etico a problema morale e fondò l’etica come scienza; nella ricerca delle leggi logiche scoprì il valore del concetto e dei procedimenti induttivi; con la concezione dell’anima come realtà spirituale esplorò la struttura e la legge di questo cosmo interiore, gettando le basi della tradizione intellettuale e morale dell’Occidente. Egli fu un impareggiabile maestro di vita che insegnò il metodo di ogni autentico insegnamento, combattendo dogmatismo e scetticismo congiuntamente, poiché ravvisò in essi lo Scilla e il Cariddi della ricerca umana, gli atteggiamenti e gli ostacoli più frequenti dinanzi ai quali si arresta e si dissolve l’impegno per una vita personale e sociale secondo verità. La missione “educativa” di Socrate, pertanto, consiste in una lotta per la ragione, contro la misologia, cioè l’odio al logos, nelle sue più diverse manifestazioni, e nella critica delle premesse agnostiche e scettiche di quel pessimismo senza catarsi che caratterizza “il vuoto di valori” della mentalità sofistica.
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Assai acuta, anche dal punto di vista psicologico, è l’analisi della comune radice della misantropia e della misologia; avversione e antipatia quella per i propri simili, questa per ogni discussione. “E l’uno e l’altro morbo, misologia e misantropia, sorgono in noi dalla medesima fonte. La misantropia si infiltra in noi quando, senza pratica della vita ci si affida a qualcuno; si crede allora che il nostro creduto amico sia persona veramente sincera, perfetta, leale; ma poi, dopo poco, lo si trova perverso e sleale. E questa esperienza si ripete in altri casi ancora. Così quando le delusioni si rinnovano frequenti, e proprio per opera di chi vorremmo amico intimo e fedele, si finisce, dopo tante delusioni, con un odio generale, ritenendo che assolutamente non ci sia in nessuno nulla di buono… E poi è chiaro che senza sufficiente esperienza delle umane cose, costui ha provato a trattare con gli uomini. Infatti, se avesse fatto ciò, valendosi di una certa esperienza, avrebbe formulato un giudizio conforme alla realtà dei fatti” (“Fedone”, 98 c-90 d.).
Socrate dimostrò ai sofisti del suo tempo e di tutti i tempi che nella sfera pratica dell’educazione non c’è spazio per chi professi una sfiducia sistematica nella ragione, perché una vera educazione comporta assai più che dei semplici metodi psicologici e delle tecniche per indirizzare la mente. Essa richiede un fine verso il quale si dovrebbe dirigere l’azione umana e una certezza intorno al bene che ci si sforza di raggiungere. L’affermazione di Protagora, secondo la quale l’uomo è la misura di tutte le cose, per cui “quello che a ciascuno appare tale anche è”, non è, da questo punto di vista, che la dichiarazione di bancarotta dell’intelligenza umana. Socrate è certamente diffidente contro ogni pretesa assolutezza della scienza della natura, ma non è affatto uno scettico (come oggi si dice un “problematicista”). Egli sa dire l’ultima parola in ciò che riguarda il significato dell’esistenza, l’imperatività del dovere morale, “il diventare, quanto più possibile, perfetti in una visione spirituale della vita” (“Apologia”, 36 c).
L’ignoranza socratica sorregge, vivifica e fa camminare il dialogo solo in quanto ha valore di pregiudiziale metodologica, così come l’ironia socratica non ha affatto lo scopo di rendere tutto problematico e di perdersi nel romantico compiacimento della propria assoluta negatività, perché ogni ricerca, anche là dove lascia ancora il problema aperto e insoluto, può acquisire sempre risultati notevoli, sgombrando il terreno da opinioni futili e infondate e aprendo nuove prospettive. L’ignoranza socratica, proprio quando affronta i problemi più alti dell’esistenza, si accompagna ad una lucidissima consapevolezza, che non vien meno in nessun momento. L’umiltà socratica non si arresta ad una mera confessione di ignoranza, ma è essa stessa “ironica”, perché tende al superamento della presunzione ipercritica e della tradizione per far nascere un frutto di conoscenza reale e ben fondata. Il suo scopo è conoscere e vivere il vero. Anche il cosiddetto “intellettualismo etico”, con cui si vuol riassumere in modo unilaterale la complessa dottrina morale di Socrate, attesta l’eminente dignità in essa riconosciuta alla ragione e il bisogno assoluto di fondare il valore morale sulla verità. Gli stessi paradossi di Socrate sono ammonitori e richiamano motivi perennemente validi, anche se al grande Ateniese mancò, come osserva Kierkegaard, “la determinazione dialettica del passaggio dal comprendere al fare”.
La sua ironia serviva a far avanzare nella coscienza degli interlocutori, sul piano del discorso razionale, la percezione graduale di quei valori supremi che egli aveva intimamente conosciuto e a lungo contemplato nella loro divina sorgente. Ciò è detto a chiare lettere in quelle pagine dell’”Apologia” (28 a – 32 a) in cui Socrate illustra e difende la sua “missione divina”. Quelle pagine attestano il carattere antinomico del genio socratico, carattere che forse per la prima volta fu colto e espresso perfettamente da Bergson nelle “Due fonti della morale e della religione”: “Il suo insegnamento, così perfettamente razionale, è sospeso a qualche cosa che sembra sorpassare la pura ragione. La missione di Socrate è di ordine religioso e mistico nel senso in cui noi prendiamo oggi queste parole”.

Giornale di Brescia, 6.3.1993. Articolo scritto in occasione della rappresentazione scenica dell’”Apologia di Socrate” da parte di Carlo Rivolta.