Il Cittadino, 29 dicembre 1963
Quando nel corso dell’anno ritorna il Natale, un po’ tutti, credenti e non credenti, sia pure con diversa consapevolezza, sono indotti a chiedersi qual è il senso ultimo e definitivo di una esistenza che prende nome e norma da Cristo. E la risposta è una sola, sublime nella sua radicale essenzialità: «Dio è Amore» (I Giov. 4, 8).
È questa affermazione centrale del Cristianesimo, un’affermazione che ci fa intravvedere il mistero di Dio e rischiara il significato della vita.
Non per qualche bisogno o mancanza, ma solo per amore, Dio ha abitato tra gli uomini. Con l’incarnazione, secondo l’espressione di Duns Scoto, «Dio ha voluto che noi partecipassimo alla festa del suo amore» e la storia ha avuto da allora un nuovo fermento, una meta nuova, una luce nuova, una luce nuova per l’umano cammino.
«In questo fatto si è mostrato l’amore di Dio verso di noi: che Iddio mandò al mondo il suo Figlio Unigenito, affinché noi per suo mezzo avessimo vita. Qui sta l’amore. Noi non abbiamo amato Dio, ma Egli amò noi per primo e ci mandò il suo Figlio» (I Giov. 4, 9-10).
Il potere inconcepibilmente grande che è nelle nostre mani è il potere di ridonare a Dio con amore, è la decisione di dire “sì” alla sua parola.
L’esistenza cristiana è la vita come risposta all’amore di Dio, è un aprirsi al suo calore, nella coscienza che noi, per nostro conto, abbiamo solo mani vuote, ma che in Cristo «siamo stati colmati di ricchezza d’ogni sorta» (I Cor. 1, 5)
Ebbene, Natale vuol dire proprio che l’Assoluto ha pronunciato la sua parola suprema, più profonda, una parola irrevocabile e definitiva: il Verbo eterno s’è fatto uomo.
Dunque, l’umanità con il suo destino sta a cuore a Lui, ora che non è solo opera sua, ma una parte di Lui stesso.
Natale significa, pertanto, «Egli è venuto in mezzo a noi e ha rischiarato il mistero della vita».
Con l’evento di Betlemme ha fatto irruzione nel mondo la rivelazione congiunta dell’amore di Dio e della dignità di ogni persona umana: Cristo è Colui nel quale trovano unità la ragione umana, la coscienza morale, la natura e l’infinito. «É la sola cosa veramente nuova sotto il sole», dirà un Padre della Chiesa; «è il centro di tutta la verità, il punto di illuminazione di tutta la realtà», ribadirà Pascal.
Il Natale, in sostanza, attesta il fatto che ormai, e per sempre, esiste tra l’umanità e Dio un vincolo che non può essere spezzato, giacché si fonda sull’umanità di Cristo, nel quale la divinità e l’umanità sono indissolubilmente legate. Il Cristo ha introdotto per sempre nell’intimità di Dio l’umanità nostra. Alla grazia di Dio possiamo sottrarci, ma essa non può più essere abolita, perché la fedeltà di Dio non è svincolata dalla nostra infedeltà.
Tutto ciò comporta una visione essenzialmente cristiana della storia, una fede operosa nel valore della storia, un credere insomma che vi è qualcosa in maturazione, qualcosa che si forma e cammina in direzione del bene, malgrado tutto
Il Cristianesimo è infinitamente di più delle varie forme storiche di cristianità che si sono succedute nel corso dei secoli: è troppo grande perché possa essere realizzato nella sua pienezza da un’epoca sola.
Non abbiamo, pertanto, utopie pseudo cristiane da proporre o da rimpiangere; noi vogliamo solo alla speranza cristiana rapportare il nostro impegno, la nostra opera, nella convinzione che il cammino provvidenziale della storia umana getta la storia verso il Vangelo: Vangelo, che è più attuale oggi che agli inizi, parola di Cristo che non è un passato da ricordare, ma divina, inesauribile anticipazione e forza redentrice d’ogni tempo.