Un padre di famiglia per risanare l’impero

Nell’antica Roma non si lamentava solo la corruzione (il caso di Verre è rimasto emblematico), ma anche la cattiva gestione della cosa pubblica, la finanza allegra, così al centro come in periferia. Di quest’ultima un documento interessante è offerto dalla corrispondenza fra l’imperatore Traiano e Plinio il Giovane, governatore della Bitinia, una ricca provincia di confine. L’avvocato comasco era stato mandato lì con poteri straordinari, non per preparare una progettata guerra di conquista verso est, ma per controllare e riorganizzare l’amministrazione locale. Il mandato del principe al suo rappresentante personale è chiaro fin dall’ inizio: «Tu devi prima di tutto controllare le finanze pubbliche, che sono gestite male». L’opera di ristabilimento della legalità non si limita però ai fatti economici, ma investe tutti gli aspetti dell’ordine pubblico: «Sei stato mandato in codesta provincia, perché è apparso evidente che ci sono molte cose da rimettere a posto». Plinio era l’uomo adatto allo scopo. Nella sua attività professionale aveva avuto occasione di conoscere la situazione della zona partecipando a processi politici di corruzione; disponeva poi di una competenza economico-finanziaria per gli incarichi pubblici ricoperti a Roma, fra cui varie prefetture dell’erario. Inoltre l’epistolario privato dimostra un vivace interesse per i problemi economici. Così, appena arrivato in provincia, il governatore si mette subito all’opera; già a Prusa controlla il bilancio della città e scopre che molte somme sono indebitamente trattenute da privati, molte spese sono state erogate illegalmente. Presto attirano la sua attenzione le opere pubbliche, iniziate e interrotte senza vantaggio per le comunità e con grande dispendio di risorse: a Nicomedia sono stati spesi più di tre milioni di sesterzi per un acquedotto, che non è stato mai completato e anzi è caduto in rovina; ne hanno avviato un altro, presto anch’esso abbandonato, e ora bisogna progettarne uno nuovo. Traiano vuole che l’acquedotto si faccia, ma esige anche che si cerchino i colpevoli delle spese inutili. Probabilmente la presenza di incompiute cattedrali nel deserto era dovuta all’ambizione degli enti locali di dotarsi di strutture grandiose. A Nicea un incendio ha distrutto il palazzo dello sport, che era un centro polivalente, non solo una palestra, quindi un complesso di edifici e strutture per i diversi usi. I Niceensi hanno cominciato a ricostruirlo, ma più ampio di prima e con più articolazioni. Il risultato è che attualmente i lavori sono fermi per mancanza di fondi e le varie opere appaiono interrotte a diversi stati di avanzamento. Plinio nutre dubbi fondati sulla possibilità di completare il progetto, tanto più che nello stesso tempo è stata lasciata a metà – e per le stesse ragioni – la costruzione del teatro (più sontuoso che solido, si osserva). Traiano capisce la passione degli orientali grecizzati per gli sports da luoghi chiusi, ma avverte: «Si devono accontentare del necessario», bandendo il superfluo. Sa bene che le grandi opere finiscono per ricadere sulle spalle dei contribuenti. Infatti ancora a Prusa è necessario un nuovo bagno pubblico, perché l’attuale è vecchio e brutto. I cittadini (o i loro rappresentanti) ne desiderano molto uno nuovo. Plinio ha preparato allo scopo una specie di piano finanziario: parte dei fondi dovrebbero derivare dalla restituzione delle somme indebitamente trattenute dai privati, come si è visto, parte dalla distrazione a favore del bagno di stanziamenti per altri fini. Traiano non ha obiezioni a concedere il nulla osta, ma con una limitazione precisa e importante: «Purché la costruzione del bagno non blocchi altre spese necessarie e soprattutto non aumenti la pressione tributaria». Si delinea in atto così una politica economica e finanziaria, che Plinio nel famoso panegirico aveva già definito della frugalitas. Nonostante la riduzione delle tasse di successione e di altri balzelli, Traiano poteva mantenere un solido apparato militare, provvedere ai rifornimenti alimentari in tempo di carestia, finanziare istituzioni assistenziali. Quella dell’oratore può sembrare enfasi retorica, ma non lo è, almeno nelle sue intenzioni. La stessa parola frugalitas Plinio usa per spiegare la fonte delle sue personali liberalità. Egli è ricco, ma non tanto come altri celebri personaggi. Oltre gli stipendi delle sue funzioni pubbliche, dispone delle rendite delle sue proprietà agricole: ma la campagna non ha mai dato redditi elevati e in quel momento l’agricoltura italiana soffriva una grave crisi sia di produzione che di manodopera. Plinio non esercita attività mobiliari, che sono più redditizie. Ciò nonostante è in grado di aiutare discretamente gli amici in difficoltà, istituisce una biblioteca a Como, partecipa alle spese per una scuola nella città natale, restaura edifici religiosi, finanzia istituzioni assistenziali. Ciò che rende possibili queste liberalità è appunto la frugalitas, che consiste semplicemente nel non spendere mai più di quello che il reddito ordinario consente. Plinio vede applicata la stessa norma da Traiano sul piano statale. Qui il problema del contenimento delle spese nei limiti del reddito ordinario è più delicato, perché la tendenza ad adeguare questo a quelle e non viceversa è sempre assai forte. Gli imperatori avevano molti mezzi per aumentare le entrate e alcuni del tutto illegali. Nerone, per incamerarne i beni, aveva fatto uccidere i sei latifondisti, che da soli possedevano metà dei terreni dell’Africa settentrionale, allora molto fertili. Domiziano preferiva far accusare di sovversione i personaggi ostili, in modo da costringerli, per salvare parte del patrimonio, a nominarlo coerede nei loro testamenti. La via più normale era però l’aumento delle tasse, specialmente a carico dei provinciali, sotto forma di imposizioni di ogni genere, anche una tantum. Traiano, come si è visto, rifiuta questa via: le spese devono essere contenute nei limiti delle entrate ordinarie, come è costretto a fare ogni privato, che voglia far quadrare il proprio bilancio. Si trasferisce così dal privato al pubblico la logica economica del «buon padre di famiglia». Questa regola sarà assunta come linea politica degli Antonini, i quali vorranno dare anche l’esempio dell’applicazione pratica nella loro vita privata. Antonino Pio va in campagna a fare di persona la vendemmia come un agricoltore diligente. Si rispolverano ideali catoniani e il modesto modello di vita del grande Scipione. Dalle lettere di Marco Aurelio giovane a Frontone gli interni della famiglia imperiale appaiono decisamente piccolo borghesi. Questa mentalità non impedisce reazioni adeguate agli eventi straordinari. Per finanziare la guerra contro Germani e Marcomanni, che premevano ai confini, Marco Aurelio non volle imporre contribuzioni straordinarie nemmeno alle province direttamente interessate. Preferì spogliarsi delle ricchezze di corte, gioielli, vasellame, oggetti preziosi, collezioni d’arte, tavole e statue, persino gli abiti da cerimonia di seta e d’oro. Non si privò dei beni che potevano rendere, ma di quelli che giacevano improduttivi in repostorio sanctiore, come dice il biografo. La vendita all’asta durò dei mesi e bastò a coprire le spese di guerra. Il fatto dovette colpire tanto l’opinione pubblica, che si ritrova ricordato in più fonti. Tuttavia non pare che abbia avuto molti imitatori: forse non ci sono stati altri imperatori filosofi.

Giornale di Brescia, 26.11.1996.