Le antiche biografie di Virgilio raccontano che le Bucoliche furono spesso recitate in teatro, anche con la partecipazione di attrici famose come Citeride. Così il poeta, benché di carattere schivo, divenne popolare: una volta che si trovò in teatro, ebbe quella che oggi si direbbe standing ovation: tutti gli spettatori si alzarono in piedi ad applaudirlo. Era in scena proprio una ripresa delle Bucoliche, ma non si sa con quale allestimento e accompagnamento musicale, né si ha notizia che l’autore avesse messo mano alla realizzazione teatrale. La regia di Virgilio entra invece in gioco nelle Georgiche. Per queste non si ha notizia di adattamenti teatrali veri e propri, ma di recitazioni pubbliche, pure molto usate. La prima è riservata a Ottaviano, che in una pausa politica posteriore alla vittoria di Azio, si trovava ad Atella in Campania. Il recital dura esattamente 4 giorni, quanti sono i libri o canti del poema. Il lettore è Virgilio stesso, sostituito di quando in quando da Mecenate (Virgilio leggeva molto bene, secondo la fonte, ma probabilmente aveva poca resistenza). La tranche quotidiana era abbastanza sopportabile per l’ascoltatore, e perciò non c’era bisogno di riduzioni del testo. Hanno invece bisogno di tagli per una lettura più sopportabile i canti dell’Eneide, che sono in media lunghi il doppio di quelli delle Georgiche. La loro struttura per scene ed episodi consente facilmente un montaggio teatrale (basti pensare alla vicenda di Didone). Si racconta che alcuni canti furono letti in anteprima all’imperatore dal poeta stesso senza intervento di Mecenate o di altri. Dopo le Georgiche, che sono tutte sotto il segno di quel potente ministro, era logico che il principe si aspettasse di essere, direttamente o indirettamente, la figura dominante della terza e più grande opera, perciò era impaziente di averne qualche assaggio; impegnato nella spedizione cantabrica scriveva a Virgilio di mandargli qualche verso, anche in elaborazione. Il poeta non lo volle accontentare, finché non poté disporre di qualche canto sufficientemente rifinito (i canti hanno una certa autonomia narrativa). Dei quattro, di cui si ha notizia, tre rispondono alle attese dell’imperatore, che poteva rispecchiarsi in Enea che salvava i Penati (II), lasciava l’Oriente per l’Occidente (III) e sentiva vaticinare agli Inferi le fortune di Roma e sue personali (VI). Nel canto IV, che è già in se stesso un fuor d’opera nell’economia della tradizione epica, poteva preannunciarsi lo scontro con Cartagine, il cui esito vittorioso avrebbe aperto la strada all’imperialismo romano e forse anche preludeva nei personaggi scipionici all’avvento del principato. Si può dunque immaginare che Virgilio abbia preparato per ciascun recital imperiale un montaggio di estensione ragionevole. Di questa operazione non abbiamo notizie dirette, ma qualche indizio significativo. Bastino pochi esempi. La rassegna dei discendenti del protagonista nel canto sesto si conclude col compianto di Marcello, nipote di Ottaviano. A lui, successore designato, il poeta attribuisce le stesse virtù di Enea, pietate insignis et armis. Alla lettura era presente la madre del giovane, Ottavia, sorella del principe, con altri familiari. La poesia era così toccante da provocare in lei e negli altri un pianto tale, da indurli a chiedere la sospensione della lettura. Ma il poeta avvertì che il canto era finito così. Invece nella versione, che noi leggiamo, seguono altri versi. Se ne deduce che il poeta aveva curato per l’occasione un testo più breve, montando gli episodi in modo da non lasciare spazi vuoti e chiudere con un tratto a effetto. Un altro indizio si ricava dai primi due versi dello stesso libro sesto, che stanno bene dove noi li leggiamo, ma starebbero altrettanto bene alla fine del quinto, dove, secondo le solite fonti antiche, sarebbero stati collocati dall’autore. In realtà il canto sesto senza questi due versi comincerebbe ex abrupto con una notizia senza contesto: «Tirano in secco le navi con la prua verso il mare». Ma dove ci troviamo? avrebbe diritto di chiedere un ascoltatore. Prima ancora che a un’idea degli editori augustei Vario e Tucca la collocazione chiarificante («sulla spiaggia di Cum») dovrebbe esser fatta risalire alla copia preparata per l’audizione. Vario e Tucca procedono per ordine imperiale alla definizione di un testo da collocare nella biblioteca ufficiale, che risponda sì alla volontà del poeta, ma anche alle caratteristiche della lettura silenziosa continuata. A quel tempo era ancora praticata anche la lettura a voce alta per le audizioni private o collettive, che hanno esigenze diverse. Ma forse è ancora più significativo l’episodio di Elena rifugiata nel tempio, che non compare nei maggiori codici del libro secondo, ma è stata conservata da Servio, il maggior commentatore antico. Esso fu eliminato (dagli editori?) per evitare la contraddizione con la presenza di lei nella casa di Deifobo, come si legge nella rievocazione della stessa caduta di Troia nel libro sesto: eppure sembra pensato proprio per una lettura ad alta voce, data la forte drammatizzazione dell’impulso, che prova Enea, di ucciderla per vendetta. La contraddizione non si rileverebbe in una lettura isolata e distanziata di ciascuno dei due canti. Si può dunque immaginare, se non accertare, un’Eneide da recitare, diversa da quella ufficializzata per la lettura silenziosa. Sarebbe coerente con la lezione della tecnica teatrale presente nella formazione neoterico-alessandrina di Virgilio.
Giornale di Brescia, 7.5.2004.