È con molta gioia che presentiamo questo nuovo scritto di padre Giulio, una figura amata e nota nella nostra città per la sua luminosa testimonianza di padre oratoriano, di assistente della FUCI e del MEIC, di insegnante di Religione per molti anni presso gli Istituti superiori ed anche per la sua singolare vicenda di partigiano cattolico nella 76a brigata Garibaldi, che suscita ammirazione e commozione in tutti coloro che hanno la possibilità di conoscerla attraverso i suoi racconti.
In questi giorni ho ripreso in mano gli ormai numerosi testi di cui padre Giulio ci ha fatto dono. È stata una bell’esperienza spirituale. Li voglio ricordare: e non per fare una carrellata di rito in quest’occasione, ma proprio per la quantità di bene che ci possono dare; libri di piccole dimensioni, che padre Giulio ci propone sempre in punta di piedi, quasi nel timore di farci perdere tempo, lasciandosi persuadere alla scrittura – così ci dice nel libretto “La tenda e i paletti” – solo dalle parole di San Paolo, secondo il quale “nel corpo di Cristo, anche i piedi (che stanno terra terra) possono servire alla testa”. E questo è vero: gli scritti di padre Giulio prendono sempre avvio dai sentieri più quotidiani della nostra vita, ma per portarci, poi, sulle vette della fede: penso, per esempio, a certe pagine del testo “Elevato da terra”, sulla parola potente e sconvolgente che la Croce di Cristo rappresenta per l’umanità; oppure alle riflessioni sul simbolo apostolico in “Credo risorgerò”, che risale al 1985; e, ancora, “Invitati a sperare”, un titolo dolce, affettuoso per un itinerario lasciato come messaggio ai suoi alunni; e poi le pagine di “Sull’umiltà”, “un esame di coscienza ad alta voce”, come le definisce padre Giulio, o quelle di “Silvano, Margherita e altri” del 1990, che sollecitano a una meditazione – scrive Matteo Perrini nella Postilla – sul mistero dell’amore umano come tensione e, insieme, sintesi bella ed esaltante tra eros e agape.
Ma vengo all’incontro di oggi: innanzitutto, saluto e ringrazio a nome di tutti il nostro carissimo Vescovo, mons. Francesco, e il dottor Ilario Bertoletti, direttore della Morcelliana, per la loro presenza qui con noi questa sera.
Prima di dare loro la parola, desidero però molto semplicemente dire a padre Giulio, che poi interverrà nella conclusione, anche il nostro e il mio grazie, per questo suo nuovo testo, con alcune considerazioni che mi sono state suggerite dall’impostazione generale del libretto, pure questa volta piccolo, leggero, delicato, nel quale le brevi pagine dedicate ciascuna a una virtù (virtù una più suggestiva dell’altra, anche nei suoni, anche nelle parole: purezza di cuore, signorilità, verecondia, affabilità, riconoscenza, curiosità, bontà d’animo…) si succedono come i fiori di un sentiero, come i grani di un Rosario, finché si arriva alle tre virtù teologali, ricordate insieme in un unico capitolo posto alla fine, che risulta però essere il capitolo fondante: un po’ come nel Rosario la Croce che si incontra alla fine ma anche all’inizio, ed è sempre presente.
Ecco, dicevo, anche questa volta un libretto proposto con semplicità già a cominciare dal titolo, “Virtù quotidiane”, quasi un tascabile, un buon compagno per il viaggio, non ingombrante (un po’ come il pane che padre Cristoforo consegna a Renzo nei “Promessi sposi”), ma nello stesso tempo con la certezza che lì, nel percorso proposto, c’è qualcosa di affascinante per noi che, se assaporato, è bello, lieto, gioioso e gustoso come un frutto: “il frutto dello Spirito”, di cui leggiamo nella “Lettera ai Galati”, che è “amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé”.
Leggendo il libretto di padre Giulio non si è chiamati in prima battuta ad una pratica di ascesi, a un esercizio di correzione delle proprie tendenze naturali (impegno che pure è richiesto: le virtù – scrive padre Giulio – sono le fatiche dell’uomo che fa, che opera cose buone e che, così facendo, diventa un po’ più buono); qui, inizialmente, si è piuttosto sedotti, amorevolmente sedotti, accompagnati a conoscere una realtà di vita bella, fatta di cordialità, serenità, gratuità, proposta come dono dello Spirito, come frutto certo, sicuro, di una nostra docilità alla guida dello Spirito.
In questo penso si trovi la differenza sostanziale rispetto ad altre riflessioni sulle virtù che hanno interessato filosofi e sociologi dall’antichità ad oggi, e oggi con un particolare consenso, perlomeno mediatico. Riflessioni, queste, certamente importanti, apprezzabili, che affidano però le virtù (e poi discorrono anche sui vizi corrispondenti: e forse non è un caso che nel testo di padre Giulio ricorra raramente la parola “vizio”) a un nostro incessante “labor limae” volto a correggere ciò che può distruggere e distruggerci, perché si possa poi edificare una convivenza sociale ordinata, rispettosa dei diritti di tutti. Qui, invece, quegli atteggiamenti costruttivi, le virtù, non sono opera nostra: noi li viviamo, li compiamo, però in azione è lo Spirito che li produce in noi, “che suscita in noi una fontana di cordialità – è una bella immagine del cardinal Martini – da cui nasce la morale evangelica, radicalmente nuova; una morale che non attiene solo a ciò che è dovere e a ciò che è vietato, che non mira solo a una società ordinata, bensì a ciò che è bello, a ciò che rende la vita piena e feconda: per cui il nostro cuore, le mani, gli occhi, la bocca, tutto di noi si mette in azione, diventa creativo, impegnato a descrivere la bellezza di una vita secondo le beatitudini. Leggerezza, semplicità, sorriso, cordialità, perciò, sono i profumi che emanano da questo libretto, ma non certo per significare che il cammino sia facile, bensì perché tale è la bellezza di vita con cui lo Spirito risponde al nostro sì di fede, di speranza e di carità.
E che il cammino non sia una passeggiata bensì una salita (e una salita a Gerusalemme!) padre Giulio non ce lo nasconde: innanzitutto, quelle virtù incantevoli che risvegliano immagini di luce e di acqua fresca sono radicate nelle tre virtù teologali: la strada è affascinante e luminosa (e questo perché “la bellezza e la bontà sono la stessa cosa”, come diceva Jean Guitton, in un’ intervista proprio sul tema “della saggezza e delle virtù ritrovate”), ma la decisione a valle, l’opzione di fondo che è richiesta, è il dire di “sì” della fede al morire del chicco di grano, è il diventare docili all’azione dello Spirito; prima di questo libretto c’è una pagina di padre Giulio che andrebbe riletta nel già citato “Elevato da terra”, dove è commentato proprio il passo evangelico del “ chicco di grano caduto in terra”: “se muore, produce molto frutto”.
Così anche nella presentazione di “Virtù quotidiane” padre Giulio ci ricorda con chiarezza che “le virtù, passando da umane a cristiane, imboccano una strada che non è più quella della misurata sapienza e prudenza umana, ma quella della folle sapienza della Croce”.
Certi passaggi di questo sentiero, poi, sono ardui, severi e severamente proposti, come quando ci viene ricordato con chiarezza che sulla virtù della povertà il Vangelo è drastico.
Padre Giulio, quindi, ci prende per mano con dolcezza e pazienza, ma poi ci mette, anzi lui per primo si mette, a scuole impegnative, quelle “di tutti coloro che di virtù parlano quotidianamente con la vita”: è questa, infatti, la bellissima dedica del libro, che ci fa uscire subito dal rischio di una gradevole chiacchierata, magari un po’ di tendenza, magari anche un po’ consolante, zuccherina e amabile sulle virtù e ci fa scorrere invece davanti agli occhi quelle schiere di persone che, note o meno note, in posizioni di responsabilità pubblica o nel nascondimento della vita familiare, padre Giulio si porta nel cuore, da quando le ha incontrate nella sua vita bella, intensa, attiva in tutti i settori della pastorale (familiare, sociale, culturale, ecumenica…). Mi immagino: accanto a nomi che potrebbero essere quelli di Astolfo Lunardi, Andrea Trebeschi, i fratelli Rinaldini, Teresio Olivelli, padre Bevilacqua, padre Marcolini, padre Manziana, anche quello del giovane Gino Pistoni di Ivrea di 20 anni, che nel ’45 padre Giulio ha visto morire colpito da una scheggia di granata offrendo la sua vita per l’Italia; oppure umili personcine operose che sono passate nella storia “beneficando e risanando” sulle orme di Cristo; o, ancora, instancabili operatori di pace, credenti pensosi e curiosi, figure di mamme e di papà capaci di fidarsi e affidarsi al Signore, in momenti difficili della loro vita familiare.
Ecco, sono questi i maestri che ci aspettano ad ogni curva del sentiero. Sono coloro che si sono lasciati guidare dallo Spirito e hanno preso sul serio la Parola (quella Parola che padre Giulio ricorda, in varie citazioni, all’inizio di ogni capitoletto). Padre Giulio ci invita a lasciarci contagiare da loro come se sapesse – e lo sa, perché un pizzico di innocente astuzia, di candore e di saggezza alla padre Brown è un tratto della sua persona! – che, una volta presa la decisione di partire, noi ne siamo poi affascinati: e non tanto – e qui mi metto dal suo punto di vista – per le sue parole, che egli ritiene di certo modestissime, ma perché lì, in quel percorso, è tutto il sapore, la bellezza e l’incanto (in termini di pace, di serenità, di pienezza di vita) dell’esistenza umana. Padre Giulio lo sa; per questo ci sorride e ci invita ad incamminarci con lui.
“Lavora, fa’ piccole cose, aspettando, giorno dopo giorno. Applicati bene. Ricordati lo scolaro chino sulla pagina d’ortografia, e che tira fuori la lingua. Ecco come il buon Dio desidera vederci (…). Le piccole cose hanno l’aria di niente, ma danno pace. Sono come i fiori dei campi. Li si crede senza profumo, e tutti insieme profumano l’aria”. È l’indimenticabile consiglio che nella penna di Bernanos il parroco di Torcy dà al suo amico di Ambricourt. È lo stesso cuore tenero che ho trovato nel libretto di padre Giulio.
NOTA: testo rivisto dall’Autore della conferenza tenuta a Brescia il 24.5.2006 su invito della Cooperativa cattolico-democratica di Cultura.