Zanussi: il mio cinema, oltre la piccolezza dell’uomo

Giornale di Brescia, 24 marzo 2010

Il regista polacco ospite in città: «Amo le minoranze idealiste: la fisica spiega che la maggioranza ha sempre torto»

Il regista polacco Krzystof Zanussi, l’altra sera ospite in città
Leggere libri e guardare film, dice Krzystof Zanussi, sono attività che «fanno male agli occhi». Bisogna quindi limitarle: «Rivolgersi solo ai capolavori, alle opere che ci fanno cambiare. Se dopo un film rimango come prima, ho perso il mio tempo». In questa affermazione si condensano il rigore e l’ironia del regista polacco, ospite lunedì sera, nella sala Bevilacqua della Pace, di un incontro organizzato dalla Cooperativa cattolico-democratica di cultura. Sul tavolo la sua autobiografia, «Tempo di morire. Ricordi, riflessioni, aneddoti». Pubblicata nel 1999, è uscita l’anno scorso in italiano per Spirali, in una versione aggiornata che include il resoconto, vivace e spiritoso, degli incontri tra Zanussi e Vladimir Putin.
A dispetto del titolo, non è un libro nostalgico: «Ho sempre fiducia nel futuro, perché oggi il mondo è migliore di quello che ho conosciuto da giovane. Quarant’anni di comunismo hanno distrutto molte cose. Ora dobbiamo imparare a vivere da rinati nella libertà: e ho scritto il libro per chiudere quel periodo della mia vita». Nato a Varsavia nel 1939, Zanussi ha studiato fisica per quattro anni. «La fisica mi ha abituato a pensare, e apre prospettive eccitanti anche per i teologi contemporanei. La modernità non si oppone alla religiosità: la scienza offre una prospettiva nuova per capire la Bibbia». E la curva delle probabilità di Gauss «spiega molti fenomeni del mondo, ad esempio il fatto che la maggioranza ha sempre torto. Mi piacciono le minoranze dinamiche, che si assumono le responsabilità verso gli altri. La società cambia grazie alle minoranze idealiste che vogliono salvare il mondo: la mia vocazione di artista è andare controcorrente».
Il regista, membro della Pontificia Commissione per la Cultura, è stato tra gli invitati all’incontro con Benedetto XVI, il 21 novembre scorso, in occasione del decennale della «Lettera agli artisti» di Giovanni Paolo II. Sulla figura del Papa polacco Zanussi ha girato nel 1981 «Da un paese lontano». Le arti narrative, dice, sono una fonte di apprendimento, «un vaccino contro i pericoli della vita: possiamo, ad esempio, comprendere i rischi della gelosia attraverso Otello. Se l’umanità vuole andare avanti, ogni generazione deve partire da un punto più avanzato di quello dei propri genitori. Così, spero che anche il mio cinema serva ad arricchire la visione del mondo». L’arte, scrive nel libro, è chiamata a esprimere «quella nostalgia dell’ideale che nel linguaggio degli studiosi si chiama trascendenza ovvero l’andare oltre la nostra piccolezza, oltre quello che ci limita».
L’autore «decisivo» per la sua vocazione è stato Ingmar Bergman, ma Zanussi ammira Fellini, Pasolini, Antonioni. È amico di Ermanno Olmi, «il suo umanesimo mi è molto vicino»; e ha grande stima di Pupi Avati, «un regista sottovalutato in Italia». Conosce bene la nostra letteratura: «Uno dei vostri scrittori più grandi è per me Giuseppe Tomasi di Lampedusa, un visionario del mondo passato che ha dato anche una visione del futuro». Il regista parla un ottimo italiano ed è un viaggiatore instancabile: «In Polonia viaggiare era un privilegio e non un diritto. Oggi tengo lezioni di cinema in molte università. La prossima settimana sarò in Cina, da 40 anni tengo corsi in India: e vedo che i sentimenti più profondi sono uguali per tutta l’umanità, anche se le apparenze sono in contrasto. Mi affascina osservare le diverse prospettive con cui ognuno di noi guarda le cose. Ci sono tanti mondi che si incrociano senza capirsi, e l’arte ha il compito etico di metterli in contatto».
Dialogare significa valorizzare le differenze: Zanussi sta lavorando a un film «in difesa delle donne contro quel femminismo che vuole annullare le differenze tra i sessi, mentre ce n’è uno che le difende». Il suo ultimo lavoro, «Revisited», dialoga col tempo: «Gli attori dei miei primi film raccontano cosa è successo ai personaggi dopo che i film sono finiti. È un percorso nel tempo, per chiedersi cosa significa una vita compiuta».